II Forum Confcommercio Professioni
II Forum Confcommercio Professioni
Le professioni tra rappresentanza e riforme

Programma
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giovedì 9 novembre
- Presentazione ricerca
Mariano Bella Direttore Ufficio Studi Confcommercio
- Intervento
Carlo Sangalli Presidente Confcommercio
- Introduzione
Anna Rita Fioroni Coordinatrice Confcommercio Professioni
- Tavola rotonda
coordina Raffaele Marmo Vice Direttore del QN
Nicola Danti Membro Commissione IMCO Parlamento europeo
Valentina Aprea Assessore Istruzione, Formazione e Lavoro Regione Lombardia
Lucia Valente Assessore Lavoro, Pari Opportunità e Personale Regione Lazio
Chiara Gribaudo Responsabile Politiche Lavoro PD
Maurizio Sacconi Presidente Commissione Lavoro Senato
Michele Tiraboschi Responsabile Comitato scientifico Adapt
- Conclusioni
Luigi Bobba Sottosegretario Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali
Cresce il coraggio di fare impresa autonoma
Secondo una ricerca dell'Ufficio Studi Confcommercio, presentata al convegno di Confcommercio Professioni, "Le professioni tra rappresentanze e riforme", negli ultimi sei anni il numero di professionisti non ordinistici è cresciuto del 51,6% contro il +14,8% dei liberi professionisti e il +5,8% di quelli iscritti agli ordini. "Boom" al Sud, con un +73% di professionisti indipendenti.
In Italia ci sono più di un milione e 300mila liberi professionisti, pari a circa il 6% degli occupati complessivi, con un reddito medio pro capite di oltre 38mila euro. Di questi, la maggioranza (983mila) è iscritta ad albi o ordini, con un reddito medio pro capite di quasi 45mila euro, mentre i professionisti non ordinistici, cioè le nuove professioni (free lance, professionisti indipendenti), sono 344mila con un reddito medio pro capite di 16.500 euro.
Negli ultimi 6 anni sono questi ad aver registrato la maggiore crescita: +51,6% contro il +14,8% dei liberi professionisti e il +5,8% di quelli iscritti agli ordini. È il dato principale che emerge dalla ricerca "Il ruolo delle nuove professioni nel terziario di mercato", realizzato dall'Ufficio Studi Confcommercio ed illustrato dal suo direttore, Mariano Bella, in apertura del convegno.
A livello geografico, lo studio evidenzia un "boom" nel Mezzogiorno: tra il 2009 e il 2015 , se gli occupati in generale sono diminuiti di quasi mezzo milione, i professionisti indipendenti sono infatti cresciuti di quasi il 73%. In questa categoria rientrano le figure regolamentate ma che non hanno ordini come, ad esempio, le guide turistiche, gli amministratori di condominio, i consulenti tributari, gli informatici, i wedding planner, i designer, i grafici, i formatori.
I nuovi professionisti si inquadrano per la quasi totalità nei servizi di mercato (97% ) e svolgono soprattutto attività professionali, scientifiche e tecniche (per il 52,1%), con un reddito medio pro capite di 18mila euro. Guadagna di più chi opera nelle attività di consulenza gestionale (oltre 24mila euro) e nei servizi informatici (oltre 21mila euro).
Sempre tra il 2009 e il 2015, infine, le attività che hanno registrato i maggiori tassi di crescita del numero di professionisti sono istruzione e formazione (+130,4%), sanità e assistenza sociale (+89%), attività artistiche, sportive e di intrattenimento (+55,7%), attività professionali, scientifiche e tecniche (+44,1%).
Il ruolo delle nuove professioni nel terziario di mercato
Il commento alla charts
CHART 1 – L’OCCUPAZIONE È NEL TERZIARIO: DAL 1960 (33,2%) AD OGGI (74,3%) È PIÙ CHE RADDOPPIATA. E CI SONO ANCORA SPAZI DI CRESCITA
Le debolezze strutturali della nostra economia non hanno comunque impedito che dall’anno convenzionalmente considerato come di avvio del boom economico, si realizzasse uno processo spinto e, per certi versi, impetuoso di terziarizzazione del sistema produttivo italiano, in linea con le altre economie avanzate. Il confronto internazionale con Germania e Stati Uniti ne mostra, tuttavia, le sensibili differenze. In sintesi, nell’arco degli ultimi cinquant’anni, l’occupazione agricola si è ridotta a poco più di un decimo della sua quota iniziale, il peso dell’industria si è contratto di circa otto punti e la quota dei servizi (comprensiva della P.A.) si è più che raddoppiata, arrivando a sfiorare il 73%. Un processo quello italiano, dunque, molto più rapido di quello di Germania e USA proprio perché partito da situazioni di maggiore arretratezza. Ma il dato di questi due paesi dimostra, nel contempo, che esistono ancora margini interessanti di espansione dell’economia dei servizi: non sussistono ragioni che impediscano di immaginare che il sistema produttivo nazionale, nel giro di 10 anni, possa stabilizzarsi al 76-77%; la terziarizzazione dell’economia, insomma, non è per nulla conclusa.
CHART 2 – IN ITALIA QUASI IL 25% DEGLI OCCUPATI COMPLESSIVI SONO LAVORATORI AUTONOMI; PIÚ DEL DOPPIO RISPETTO A FRANCIA E GERMANIA
Se dunque l’occupazione è incontestabilmente terziaria, è altrettanto vero che sotto il profilo occupazionale la componente del lavoro autonomo riveste nel nostro paese un ruolo ancora molto incisivo. Rispetto alla gran parte dei paesi UE (esclusi i minori) e agli Stati Uniti, ancora nel 2016, l’Italia si colloca nelle prime posizioni della graduatoria, con poco meno del 25% degli occupati come lavoratori indipendenti, oltre 6 milioni di persone. È una quota più che doppia di quella di Francia, Germania e Regno Unito e vale circa quattro volte quella degli USA. Due considerazioni: la prima è che la costruzione della grande impresa riduce ovviamente la quota di indipendenti nel lunghissimo termine (i dati partono dal 1960); la seconda è che il predetto fenomeno si sta arrestando, come emerge dal fatto che in molti paesi c’è un’inversione di tendenza negli ultimi 10 anni e che in generale la quota di indipendenti si sta stabilizzando.
CHART 3 – CRESCONO I PROFESSIONISTI, SOPRATTUTTO I NON ORDINISTICI (+51,6% IN 7 ANNI), IN CONTROTENDENZA RISPETTO AL CALO DELLE ALTRE COMPONENTI OCCUPAZIONALI
Se dall’analisi basata sui confronti internazionali si passa ora a focalizzare l’attenzione sullo specifico italiano, il fatto che sussistano ampi margini di espansione per il settore delle professioni è dimostrato dall’andamento dell’occupazione secondo la posizione lavorativa (cioè dipendenti e indipendenti) proprio durante la lunga fase di recessione-stagnazione a partire dal 2008. Tutte le componenti dell’occupazione hanno evidenziato una forte contrazione tra il 2008 e il 2015: oltre 620mila posti di lavoro persi nel complesso. Per contro, i liberi professionisti hanno evidenziato un andamento anticiclico, con una crescita di oltre 170mila unità nel periodo considerato, che ne ha aumentato l’incidenza sul totale di quasi un punto, portandola al 5,9%. Ma il dato davvero interessante e per certi versi sorprendente è che poco meno del 70% della crescita dei professionisti è ascrivibile ai cosiddetti non ordinistici (+117mila unità), ossia quasi il 52% in più in termini cumulati rispetto al 2008. Complessivamente, per delineare l’ampiezza di questo segmento occupazionale all’interno dei professionisti, si è fatto riferimento a quei soggetti che esercitano abitualmente attività d’impresa, arti o professioni, sia secondo la definizione dell’art. 50 del TUIR (Testo Unico delle Imposte sul Reddito), sia secondo le norme che definiscono il perimetro del “regime fiscale di vantaggio” (i vecchi contribuenti minimi prima del 2012), e che risultano tutti iscritti, per gli obblighi previdenziali, alla Gestione Separata dell’INPS. Nella nostra analisi sono stati utilizzati i dati fornitici dal Dipartimento delle Finanze derivanti dalla dichiarazioni fiscali, che risultano di un ordine di grandezza assolutamente compatibile con quello degli archivi INPS e che vale poco più di 344mila soggetti nel 2015.
CHART 4 – IL 97% DEI PROFESSIONISTI NON ORDINISTICI LAVORANO NEI SERVIZI
Se queste sono le performance economiche dei non ordinistici complessivamente considerati, è interessante procedere a qualche considerazione in ordine sparso sulla loro distribuzione all’interno delle principali branche produttive dei servizi, in termini di numerosità e di reddito individuale. Sicuramente si può affermare che circa il 97% dei professionisti non ordinistici si colloca all’interno dei servizi. Il comparto a presenza maggioritaria è proprio quello della Sezione M Ateco, cioè le attività professionali, scientifiche e tecniche, che ne assorbono più del 52%, pari a quasi 180mila soggetti e con la maggior variazione assoluta rispetto al 2008, ossia poco meno di 55mila unità. In termini relativi, invece, i maggiori incrementi, +130% e +89% circa, appartengono, rispettivamente, alla Sezione P, quella dell’istruzione - che incorpora aree in espansione come quella dei corsi di formazione - e alla Sezione Q, quella di sanità e assistenza sociale. Quest’ultima risulta essere la seconda in ordine di numerosità (quasi 55mila professionisti), corrispondente ad una quota di circa il 16% del totale.
CHART 5 – IN FLESSIONE IL REDDITO PRO CAPITE DEI PROFESSIONISTI NON ORDINISTICI (-23% IN 7 ANNI) CHE È POCO PIÙ DI UN 1/3 DI QUELLO DEGLI ORDINISTICI
Nella produzione del reddito in termini aggregati, pur avendo fornito i professionisti non ordinistici un contributo ampiamente positivo e, soprattutto, in solitaria controtendenza rispetto alle altre forme di occupazione, sotto il profilo invece delle performance individuali, cioè in termini pro capite, la situazione si manifesta in modo assai meno brillante. Il reddito individuale dei non ordinistici nel 2015 è stato leggermente inferiore a 16.600 euro, poco più di un terzo di quello dei professionisti ordinistici. In realtà, nel periodo tra il 2008 e il 2015, contrassegnato da alternanza di fasi recessive e di bassissima crescita, tutti i redditi pro capite si sono contratti, tranne le retribuzioni dei dipendenti, e in particolar modo quello dei liberi professionisti (-13% circa cumulato), con i non ordinistici ad evidenziare una flessione a due cifre (quasi -23%). Inoltre, la dinamica reddituale appare particolarmente inadeguata se si considera che in termini di potere d’acquisto, alla riduzione nominale del 22,6% si deve sottrarre l’incremento cumulato medio dei prezzi al consumo, pari al 10% nello stesso periodo. Le determinanti di tale fenomeno vanno ricercate essenzialmente in un effetto di composizione. Vale a dire che molti nuovi professionisti, tra quelle 117mila posizioni aggiuntive rispetto al 2008, conquistano spazi di mercato a basso reddito che riducono il rendimento medio del lavoro dell’aggregato delle nuove professioni.
CHART 6 – NEL CORSO DELLA STAGNAZIONE IL REDDITO PRODOTTO DAI PROFESSIONISTI NON ORDINISTICI È L’UNICO AD ESSERE CRESCIUTO SIGNIFICATIVAMENTE (+17,3%)
Anche riguardo al reddito prodotto, considerato qui in termini aggregati, si delineano evidenze simili a quelle del fronte occupazionale. Il volume di reddito complessivo prodotto dalle nuove professioni è crescente, tanto in assoluto, da meno di 5 miliardi di euro a oltre 5,7 miliardi di euro, quanto in % sul totale dei redditi prodotti dal totale del sistema economico italiano. Si delinea, pertanto, oggettivamente una domanda di questi servizi professionali ed è una domanda crescente, che va soddisfatta. Non è possibile, poi, omettere di sottolineare una ulteriore evidenza quantitativa: nel giro di 7 anni, cioè dalla fine del 2008 alla fine del 2015, eccetto quelli dei dipendenti, tutti gli altri redditi sono complessivamente decrescenti: con l’esclusione appunto del settore delle nuove professioni, a testimonianza non solo di un mutamento dell’offerta di lavoro e di nuove professionalità quanto, soprattutto, di nuove esigenze e aspirazioni emergenti dal versante della domanda di imprese e famiglie. Lo sottolinea il fatto che la crescita di questi servizi in termini di remunerazione del lavoro è stata del 17,3% contro una riduzione del volume del reddito complessivo attorno a 3,5 punti percentuali.
CHART 7 – TRA LE VARIE TIPOLOGIE DI PROFESSIONISTI NON ORDINISTICI, I CONSULENTI D’IMPRESA, AMMINISTRATIVO-GESTIONALI E PIANIFICAZIONE AZIENDALE GUADAGNANO DI PIÙ (OLTRE 24MILA EURO DI REDDITO PRO CAPITE)
Questa selezione di sotto-settori della classificazione ATECO, rappresenta circa 250mila nuovi professionisti sui 344mila censiti e 4,4 miliardi di redditi complessivi sui 5,7 miliardi del totale attribuibile ai nuovi professionisti. Il gruppo più numeroso, quasi 180mila, oltre la metà del totale, è quello della Sezione M, relativa alle attività professionali, scientifiche e tecniche, cioè attività contraddistinte da specializzazione delle competenze. Interessante anche gettare uno sguardo esemplificativo su alcuni profili specifici dei professionisti non ordinistici, tra quelli di maggiore interesse per Confcommercio Professioni, indicati da specifici codici ATECO, ai quali è associata la numerosità di questi professionisti e il loro valore in termini di reddito aggregato e pro capite. Ad esempio, nel caso dei valori più elevati, al di sopra dei 21mila euro si collocano le attività degli studi commerciali, tributari e revisione contabile (tributaristi), mentre sfiorano i 25mila euro le attività di consulenza gestionale, come consulenti d’impresa, amministrativo-gestionali e pianificazione aziendale. Per contro, vale la pena di sottolineare la presenza di un gruppo di modeste dimensioni – poco meno di 3.100 soggetti - seppur in forte crescita, che sembrano ricoprire un ruolo importante. È quello, diversissimo dai precedenti, che opera nell’assistenza sociale non residenziale, cioè di quelle persone con un certo grado di professionalizzazione che supportano organizzazioni magari non profit per l’attuazione delle politiche sociali delle ong o degli enti locali. Si tratta di educatori di sostegno, mediatori sociali e culturali, formatori professionali, persone che fanno assistenza per l’inserimento degli immigrati nel mondo del lavoro o che recuperano a una vita sociale produttiva soggetti disagiati; questi professionisti producono un valore che si apprezzerà pienamente soltanto in prospettiva futura. Naturalmente, il reddito complessivo prodotto, cioè il peso dei sotto-settori dipende largamente dalla numerosità dei professionisti partecipanti, e quindi l’area tecnico-scientifica è prevalente, ma dipende anche dalla remunerazione media dei professionisti operanti nei differenti campi di attività da cui emerge ampia eterogeneità dei redditi medi, che vanno, appunto, dai predetti 25mila euro circa del consulente di gestione aziendale ai poco più dei 7mila euro dell’assistente sociale. Ciò che importa sottolineare, è che la domanda complessiva per queste professionalità e questi servizi è decisamente crescente, con o senza crisi economica.
CHART 8 – I GAP DI CONTESTO IN TERMINI DI PRODUTTIVITÀ E COMPETITIVITÀ: IL CONFRONTO CON LA GERMANIA CI CONDANNA IMPIETOSAMENTE
Da qualche decennio si assiste, nel nostro paese, ad un aperto dibattito su origini e cause della scadente produttività del nostro sistema. Una causa viene attribuita alla dimensione insufficiente delle unità produttive, dato oggettivamente riscontrabile nelle statistiche sulle imprese. Ma c’è un altro aspetto che determina la bassa produttività sistemica in Italia da non trascurare, perché può costituire un freno, un pericoloso vincolo a una forza vitale come le nuove professioni: si tratta dei gap di contesto, visti nel complesso, più che singolarmente. Qui è rappresentato l’aggiornamento al 2016 di un insieme di evidenze più o meno note che conviene ribadire (si tratta di confronto temporale 2012-2016 e spaziale Italia-Germania). Pur in presenza di indubbi miglioramenti che il nostro paese ha conseguito, è il livello a risultare ancora inadeguato rispetto a un benchmark fondamentale per produttività e competitività: siamo distanti come tempi di pagamento delle imposte e troppo lontani come tempi della giustizia civile; troppo lontani nei tempi di pagamento delle fatture della PA e a distacco come pressione fiscale, con un eccesso di quasi 2,5 punti percentuali. Anche i deficit infrastrutturali si fanno sentire in termini di costo dell’elettricità, soprattutto per le piccole imprese, e di capillarità dei fattori abilitanti che riguardano tutte le imprese: ma ovviamente le più colpite sono le piccole e piccolissime perché le grandi possono gestire in proprio aspetti della tecnologia che non possono invece essere gestiti autonomamente da unità produttive più piccole, come la disponibilità della banda larga ultraveloce, fondamentale per la trasmissione di contenuti ad alto valore aggiunto, ma altrettanto fondamentale per la partecipazione alla produzione ed erogazione di servizi in rete. Solo riducendo o, meglio, annullando questi gap, sarà possibile valutare come muterà la produttività delle micro e piccole imprese, inclusi i nuovi professionisti, nonché considerare come questi potenziali effetti si rifletteranno sulla produttività complessiva del sistema Italia.
L'infografica
Sangalli: "Confcommercio casa comune delle professioni"
L'Italia si conferma il Paese delle partite Iva, dei free lance, del lavoro autonomo. Un dato su tutti: tra il 2008 e il 2015 a fronte di una riduzione netta dell'occupazione complessiva, i professionisti sono cresciuti del 15% e, in quest'ambito, le nuove professioni sono aumentate di oltre il 50%, collocandosi per la quasi totalità nel commercio, nel turismo e nei servizi.
Siamo di fronte ad un bivio: o valorizzare queste professionalità facendole crescere o condannarle ad un ruolo residuale, se non si risolvono i problemi strutturali della nostra economia, in particolare l'eccesso di burocrazia e di pressione fiscale. L'impegno di Confcommercio è quello di essere sempre più casa comune di questo articolato settore, proprio per dare voce unitaria e autorevole al lavoro autonomo e professionale.
Carlo Sangalli, Presidente Confcommercio
Il videoracconto della giornata
Intervento di Anna Rita Fioroni
Ringrazio e saluto tutti i presenti.
Un ringraziamento particolare va al Presidente Sangalli per l'attenzione che sta dedicando al settore del lavoro autonomo professionale che in Confcommercio costituisce una "frontiera" della rappresentanza, sfidante sotto molti profili perché necessita di sperimentazione ed innovazione anche e soprattutto a livello di proposta.
Non si può più infatti pensare al Terziario di mercato senza guardare ai professionisti, che svolgono un ruolo fondamentale per la crescita del Paese, contribuendo in modo decisivo al suo sviluppo economico.
Di questo siamo convinti e siamo altresì convinti del fatto che il lavoro autonomo professionale trovi la sua casa naturale in Confcommercio che rappresenta il terziario di mercato ed i servizi professionali.
Molti sono i temi che accomunano imprese e professionisti quando si guarda al contesto competitivo nel suo complesso, in un sistema paese che deve dare risposte per la crescita economica ed interpretare le tendenze evolutive del mercato del lavoro.
Oggi a maggior ragione perché non si può parlare di "Industria 4.0" – o, meglio, di "Impresa 4.0", come Confcommercio ha fatto notare al Governo che si è subito corretto in sede di bilancio del primo anno di Piano del Ministro dello Sviluppo Economico – senza pensare a moderni ed efficienti servizi professionali per un nuova rivoluzione industriale, che indubbiamente mette al centro dei processi produttivi non solo sofisticate tecnologie di nuova generazione ma, prima ancora, la persona e una idea di lavoro che sarà sempre più espressione di professionalità e di autonomia e sempre meno di logiche di comando e controllo tipiche del lavoro dipendente.
Diviene quindi importante che imprese e professionisti dialoghino insieme per dare valore al capitale umano qualificato, alle competenze e alle professionalità, per trovare soluzioni condivise e sottoporle al decisore politico e pubblico.
In Confcommercio è nato il Coordinamento delle professioni, per dare voce unitaria anche al lavoro autonomo professionale.
Il coordinamento delle professioni è composto dalle associazioni che in Confcommercio rappresentano le professioni in diversi settori. Nostro compito è anche quello di valorizzare al massimo il rapporto tra Associazioni nazionali delle professioni e Organizzazioni territoriali di Confcommercio per interpretare al meglio le esigenze dei nostri associati. L'economia dei territori è infatti per noi fondamentale, per ricomporre la rappresentanza intorno ad una identità fatta di vocazioni peculiari e di contesti competitivi diversificati. Una economia dei territori che è l'ecosistema che determina oggi le dinamiche dell'impresa 4.0 confermando così il fondamentale ruolo di raccordo che la grande casa di Confcommercio può oggi svolgere tra professionista e impresa rendendoci diversi, e crediamo anche più accoglienti e propositivi, rispetto ad altri attori della rappresentanza del lavoro autonomo, inteso come mera espressione del lavoro non dipendente.
Il nostro Coordinamento oggi compie un anno e ha raggiunto 30.000 associati. Siamo cresciuti più del doppio e presto costituiremo una Federazione per dare più forza alla rappresentanza attenti a mantenere la piena autonomia delle associazioni che ne fanno parte. Siamo consapevoli che l'unione fa la forza e solo aggregandoci aumentiamo la nostra rappresentatività rispetto ad un settore in continua evoluzione che chiede politiche su misura.
Un settore per il quale c'è bisogno di fare chiarezza per superare pregiudizi culturali che non valorizzano il lavoro autonomo in quanto tale. Per questo abbiamo avviato una serie di incontri nelle diverse province d'Italia per far conoscere cosa significa lavorare da professionisti senza paracadute e senza molte tutele ma puntando sul proprio valore in un mercato sempre più competitivo. Lo spunto ci è dato dal Jobs act degli autonomi che per la prima volta dà protagonismo al lavoratore autonomo professionale distinguendo le tutele da quelle del lavoro subordinato.
I numeri della ricerca che abbiamo appena visto fotografano una realtà economica in crescita per i servizi e soprattutto per le libere professioni che crescono numericamente al contrario di tutte le altre occupazioni.
I professionisti non ordinistici con P.iva in particolare sono aumentati di quasi il 52 per cento dal 2008 al 2015 e sono gli unici che hanno prodotto maggior reddito nel periodo esaminato.
La crescita delle professioni non ordinistiche, ma in generale di tutte le libere professioni, ci conferma la necessità di creare politiche su misura con uno sguardo alle prospettive occupazionali e alla esigenza di creare nuove condizioni di contesto che favoriscano la competitività delle professioni. In questo modo si darà una risposta ad un fenomeno evidenziato dalla ricerca che è la bassa redditività delle stesse professioni non ordinistiche da imputare, tra le altre cause, molto probabilmente al fatto che ancora il mercato di riferimento non permette di valorizzare la qualità dei servizi offerti.
Il nostro Manifesto presentato lo scorso anno rimane la traccia su cui basarci e confrontarci al nostro interno per condividere un percorso che guarda al futuro.
La nostra attività di rappresentanza si rivolge quindi alle professioni esercitate in forma di lavoro autonomo che sono sempre più caratterizzate da continue sfide e cambiamenti, quali ad esempio le transizioni occupazionali.
Soprattutto per le nuove professioni legate alle mutate esigenze del mercato ed anche allo sviluppo tecnologico si pongono nuove sfide, e il lavoro stesso interessa diversi status e condizioni: la transizione tra diverse dimensioni lavorative come quelle del lavoro autonomo e subordinato, è ormai una realtà che va affrontata puntando in particolare sul tema delle competenze, della loro formazione e riconoscimento in quella che viene definita la "nuova geografia del lavoro". Serve allora concentrarsi sull'identità professionale, costruendo una dotazione, una rete fatta di diritti e di competenze che seguano il professionista nel corso di tutta la sua vita lavorativa.
Legge 4 del 2003 e Proposte di riforma
Il professionista che vuole competere cerca per la propria attività un sistema reputazionale che deve essere tracciabile e misurabile, anche a garanzia del consumatore e della piena trasparenza del mercato.
Uno strumento utile a dare risposte alle esigenze del mondo delle professioni ci è fornito dalla Legge 4/2013 che si riferisce alle professioni non organizzate in ordini o collegi.
La portata innovatrice della l 4/2013 riguarda l'attenzione rivolta al mercato e alla concorrenza, intervenendo nel rapporto tra consumatore e professionisti e permettendo a questi ultimi di ottenere un'evidenza pubblica e riconoscibile della loro attività, ma anche individuando in modo espresso il ruolo e dettando una prima regolamentazione delle associazioni professionali.
Con la Legge 4/2013 si apre anche la strada alla certificazione per le professioni non regolamentate, percorso alternativo all'introduzione di regolazioni più stringenti che rappresentino una barriera pubblicistica all'accesso alla professione.
Se si guarda fuori dall'Italia in tutti i sistemi nazionali, il ruolo delle qualifiche e delle certificazioni nella regolazione delle professioni è determinante. Da un lato, esse sono uno strumento attraverso cui garantire le istanze di protezione e tutela dei consumatori/utenti e di riconoscimento dei professionisti, dall'altro, stabilendo le condizioni di accesso alla professione e del suo esercizio, sono uno strumento di regolazione del mercato. Tanto nei Paesi con sistemi più restrittivi, quanto nei Paesi con sistemi riconducibili a un modello "liberale", si riscontrano tendenze comuni: la spinta alla internazionalizzazione dei sistemi di riconoscimento dei requisiti professionali; una tendenza alla liberalizzazione, con un progressivo aumento dei processi di certification e una progressiva riduzione degli schemi di licencing.
Anche per questo abbiamo accolto con favore l'inserimento della Legge 4/2013 nel Piano nazionale di riforma delle professioni, notificato dal Governo italiano alla Commissione europea, ai sensi della Direttiva relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali.
Ma a nostro parere la legge 4/2013 al momento non esprime tutte le sue potenzialità soprattutto in termini di una moderna regolazione sussidiaria e pluralista delle professioni che riconosca appieno il ruolo imprescindibile dei corpi intermedi e della rappresentanza nella valorizzazione della professionalità e della trasparenza del mercato.
Il modello proposto dalla Legge 4 peraltro costituisce una risposta univoca per tutte le professioni perché si concentra sulla qualità della prestazione, aprendo la strada a parametri reputazionali condivisi secondo una logica che integra i processi dell'impresa 4.0 e che sono bene scanditi dal concetto di sharing economy, economia della collaborazione e della condivisione. Anche molte professioni ordinistiche stanno infatti avviando percorsi di certificazione.
In particolare voglio evidenziare il ruolo della normazione tecnica UNI ISO. L'attività che sta svolgendo la Commissione tecnica UNI sulle professioni non regolamentate segue l'impostazione della Legge 4 e richiede sempre un maggiore impegno da parte delle associazioni nel promuovere sia il ricorso a questo strumento per definire in modo chiaro e condiviso gli elementi qualificanti di ciascuna professione sia il completamento del percorso con le relative certificazioni. Mi auguro che questa attività venga svolta sempre con maggiore sinergia con la legislazione nazionale e che possa rappresentare il vero punto di riferimento.
È importante quindi che tutti noi comprendiamo il valore della normazione e degli schemi di certificazione per vedere riconosciuta ogni singola professione.
Tutto questo però sta avvenendo in un quadro giuridico ancora non chiaro: basti pensare al mancato raccordo tra L. 4/2013 (che introduce un sistema volontario di certificazione delle competenze per i professionisti sulla base di norme tecniche UNI) e il D.lgs. 13/2013 (che attuando le disposizioni della L. 92/2012 definisce gli standard minimi del sistema nazionale di certificazione delle competenze), entrambi provvedimenti cruciali rispetto ai quali però il Legislatore non si è ancora premurato di creare adeguati raccordi che diano certezza al quadro normativo. Questa sembra essere una prima area di intervento strategica che vogliamo sottolineare al fine di assicurare coerenza e circolarità tra sistema formativo e sistema di certificazione delle competenze per i professionisti, chiarendo in particolare competenze, responsabilità, modalità di intervento dei diversi attori coinvolti nella attuazione del sistema.
Di conseguenza ci preoccupiamo che il Repertorio nazionale dei titoli di istruzione e formazione e delle qualificazioni professionali (di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 16 gennaio 2013, n. 13) , si rivolga anche alle professioni non regolamentate essendo il quadro di riferimento unitario per la certificazione delle competenze.
Anche sotto tale profilo un ruolo fondamentale può essere svolto dalle associazioni professionali iscritte al registro del MISE ai sensi della legge 4/2013 per le professioni non organizzate in ordini o collegi cui può essere affidato il compito di individuare tali percorsi professionali.
Jobs Act autonomi attuazione
A queste riflessioni si aggiungono quelle legate alla tutela del lavoro autonomo in un contesto in cui come si diceva, una stessa persona può svolgere la sua attività lavorativa, secondo modalità diverse che riguardano sia la tipologia contrattuale che il passaggio tra diversi sistemi fiscali e previdenziali.
La l. 81/2017, il Jobs Act degli autonomi, rappresenta un primo ed importante passo nel percorso di costruzione di un quadro regolatorio del lavoro autonomo professionale.
Tra le misure introdotte, ci sono alcune particolarmente sentite e apprezzate tra le quali sottolineiamo quelle che prevedono un impegno importante da parte delle associazioni diretto o indiretto per favorire la competitività dei professionisti: la deducibilità integrale delle spese per la formazione e l'aggiornamento professionale (fino a 10.000 euro) comprese spese di viaggio e soggiorno, rappresenta una misura fondamentale a tutela della professionalità.
La formazione deve però essere coerente con gli obiettivi di qualità e con le esigenze di certificazione dei professionisti a fronte di un panorama di percorsi ed offerte formative che spesso non rispecchiano le effettive richieste del mercato e le esigenze dei professionisti. Le associazioni hanno una responsabilità importante per raggiungere questi obiettivi.
Sempre dal lato delle politiche per la competitività, il Jobs act degli autonomi impone alle amministrazioni pubbliche, in qualità di stazioni appaltanti, di promuovere la partecipazione dei professionisti a gare e bandi pubblici. Il ruolo delle associazioni in questo senso può essere decisivo sia nel rendere conoscibile ai propri associati l'esistenza dei bandi, sia nell'offrire supporto al professionista nell'accesso agli stessi bandi.
Le associazioni potranno avere un ruolo nell'accompagnare il professionista verso il contratto di rete, misura da noi fortemente voluta, che ci auguriamo possa rivelarsi efficace al fine di sfruttare le nuove opportunità legate anche all'accesso ai fondi strutturali.
Lo sportello per il lavoro autonomo presso i centri per l'impiego e gli organismi autorizzati, può essere un'opportunità ma ne attendiamo l'effettiva applicazione, soprattutto considerando che non sono state stanziate risorse dedicata .Saranno infatti le associazioni delle professioni non organizzate, unitamente alle associazioni comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, ad avere un ruolo con le convenzioni da stipulare.
Lo sportello dedicato raccoglierà le domande e le offerte di lavoro autonomo, fornirà le relative informazioni ai professionisti ed alle imprese che ne facciano richiesta, fornirà informazioni relative alle procedure per l'avvio di attività autonome e per le eventuali trasformazioni e per l'accesso a commesse ed appalti pubblici, e le informazioni relative alle opportunità di credito e alle agevolazioni pubbliche nazionali e locali. Occorrerà ora capire come l'Anpal (Agenzia Nazionale Politiche Attive del Lavoro) integrerà operativamente tali previsioni, non solo in termini di definizione dei servizi rivolti specificamente agli autonomi, ma anche rispetto alla connessione con le misure e i servizi "generali" previsti dal decreto legislativo n. 150/2015, con particolare riferimento ai servizi personalizzati di orientamento, riqualificazione e ricollocazione, poiché da ciò dipende l'effettività delle misure e anche la possibilità di scongiurare il rischio che si crei una corsia separata per i lavoratori autonomi che non sarebbe coerente con la logica di sostegno alle diverse transizioni possibili anche dal lavoro autonomo a quello subordinato e viceversa.
Fondamentale è poi l'equiparazione di tutti i lavoratori autonomi alle PMI, per l'accesso ai fondi strutturali europei, ad opera dell'art. 12 della l. n. 81/2017. Tuttavia mancano ancora i numeri di riferimento, pertanto dovremo verificare anche a livello regionale l'effettività e l'efficacia di tali previsioni.
Tutte misure queste innovative che possono aprire la strada ad una più definita rappresentanza per la valorizzazione del lavoro e delle competenze dei professionisti, aspettiamo di vederne l'applicazione per il futuro.
Welfare e Previdenza
Altro punto importantissimo è costituito dal welfare e dalla previdenza dei lavoratori autonomi. Ricordiamoci infatti che le storie lavorative stanno diventando sempre più dinamiche ed articolate. Questo implica una conseguenza evidente: carriere instabili e caratterizzate da discontinuità mettono a repentaglio la possibilità, per gli autonomi, di conseguire adeguate prestazioni previdenziali al momento del pensionamento.
Bisogna dire, però, che sono stati fatti passi in avanti, con il riconoscimento di alcune importanti tutele da noi sollecitate;
- con l'ultima legge di bilancio 2017 si è ottenuta la riduzione strutturale dell'aliquota contributiva per la gestione separata Inps al 25 per cento rispetto alla previsione della legge Fornero che prevedeva un aumento progressivo al 33 per cento nel 2018. E' stata introdotta la previsione del cumulo gratuito tra i periodi assicurativi non coincidenti al fine del conseguimento di un'unica pensione.
- con la legge n. 81/2017 sono state introdotte tutele in materia di malattia e maternità.
Tutto questo è un inizio ma non basta: occorre dare maggiore spazio a forme integrative di welfare, rafforzando agevolazioni ed incentivi fiscali che favoriscano anche forme di previdenza integrativa volontaria.
Ancora si deve andare oltre, per rispondere alle specifiche esigenze del variegato mondo delle professioni.
Un primo passo per trovare adeguate soluzioni sarà la netta distinzione tra i professionisti titolari di partita iva e lavoratori parasubordinati all'interno della gestione separata Inps, anche attraverso una specifica evidenza contabile per i professionisti.
Fisco
Tra le misure per la competitività vogliamo comprendere anche la semplificazione fiscale e quindi ribadiamo le nostre richieste su Irap e split payment innanzitutto:
- definire in modo chiaro, anche alla luce delle ultime sentenze della Corte di Cassazione, le caratteristiche dei lavoratori autonomi che sono esclusi dal pagamento dell'Irap per l'assenza dell'autonoma organizzazione.
- operare un ulteriore adeguamento della deduzione Irap attualmente spettante ai lavoratori autonomi in relazione alla base imponibile, elevando l'importo ora riconosciuto di 13.000 euro nel più congruo importo di 15.000 euro.
Considerando infine gli ingenti danni finanziari che l'istituto dello "split payment" sta creando alle imprese fornitrici della P.A. ed ai professionisti che hanno rapporti economici con la medesima, è fondamentale procedere alla sua abrogazione.
Confidi
E' necessario intervenire al più presto sul tema dell'accesso al credito da parte dei professionisti, fortemente ostacolato da appesantimenti burocratici e da persistenti quanto ingiustificate distinzioni che vanno a discapito del lavoratore. Tra le criticità in questo ambito, segnaliamo come occorra chiarire una volta per tutte, che tutti i professionisti possono accedere ai Confidi, purtroppo infatti persistono interpretazioni restrittive che impediscono alle p.iva professionali di sfruttare tali possibilità.
Equo compenso
Un tema attualmente al centro del dibattito e molto sentito da chi svolge un'attività autonoma professionale è quello dell'equo compenso. Sono state presentate numerose proposte e benché occorra riconoscere che la determinazione di parametri di riferimento sulla base dei quali stabilire definire l'equità del compenso rappresenta un problema estremamente complesso, è necessario evidenziare che il professionista non cerca soluzioni che puntino verso il basso o che riducano la sua autonomia alla stregua di un lavoratore parasubordinato, con l'individuazione di minimi retributivi stabiliti da accordi collettivi.
D'altra parte non si può ignorare come il problema del compenso riguardi in particolare il rapporto tra il professionista e un committente forte quale la PA, in grado di imporre condizioni contrattuali che invece di valorizzare la qualità della prestazione e la professionalità di chi presta la propria attività, finiscono per danneggiare professionisti e cittadini. Esemplare a questo proposito la recente sentenza del Consiglio di Stato pubblicata il 3 ottobre, di cui si è molto discusso, che ha ritenuto legittimo un bando di gara per l'affidamento di un appalto di servizi professionali a titolo gratuito. Sentenza discutibile, ma che mette in luce proprio il problema insito nella predisposizione di un provvedimento sull'equo compenso.
Quindi, una misura efficace e ben ponderata in quest'ambito è particolarmente sentita e necessaria, soprattutto ora che il Jobs act sul lavoro autonomo ha previsto l'obbligo per la P.A. di promuovere la partecipazione dei lavoratori autonomi agli appalti e ai bandi per l'assegnazione di incarichi personali di consulenza.
CNEL
Abbiamo seguito la polemica circa il coinvolgimento delle associazioni professionali nella rappresentanza del CNEL. Voglio sottolineare un aspetto fondamentale: il CNEL, per espressa previsione costituzionale, deve essere composto di esperti e di rappresentanti delle categorie produttive, in misura che tenga conto della loro importanza numerica e qualitativa, proprio perché – dice sempre la Costituzione – è organo di consulenza delle Camere e del Governo per le materie e secondo le funzioni che gli sono attribuite dalla legge. L'esclusione delle associazioni di rappresentanza del lavoro autonomo è quindi anacronistica, non tenendo conto del mutato contesto economico e produttivo del Paese. Pertanto, a questo dibattito rispondiamo che occorre guardare ora alle riforme da proporre per un nuovo CNEL in cui saranno rappresentate anche le professioni e il lavoro autonomo professionale così come mutato nel tempo. Il Presidente Treu si è impegnato a costituire la Consulta e già da ora chiediamo di farne parte.
Concludo ringraziando tutti voi, tutte le associazioni del nostro coordinamento e i loro rappresentanti per il lavoro svolto sino ad ora insieme con l'impegno di costruire una rappresentanza sempre più forte e l'obiettivo di guardare alla proposta futura con spirito innovativo e il coraggio che richiede ogni cambiamento . Siamo pronti, abbiamo forza di volontà e ci impegneremo per questo grazie al nostro Presidente e agli organi confederali che ci supportano in questo percorso.
Bobba: "la proposta di Confcommercio Professioni sull'Irap va presa in attenta considerazione
Luigi Bobba riassume il dibattito svoltosi parlando di "valutazioni differenti emerse sui due provvedimenti del governo jobs act e legge 81". Il primo, in particolare, distingueva chiaramente tra lavoro dipendente e lavoro autonomo, con l'obiettivo di cancellare il ‘lavoro opaco', parasubordinato o paraautonomo. Ciò che abbiamo fatto non ha peggiorato certo le condizioni precedenti e i due provvedimenti hanno prodotto risultati sostanzialmente positivi. Esiste comunque, e ne va tenuto conto, un campo di attività che il legislatore non arriva mai a regolare compiutamente perché il mercato del lavoro cambia in modo forsennato. Guardiamo alla situazione precedente e alla direzione verso cu ci stiamo muovendo, al di là delle polemiche". Bobba ha quindi concluso definendo la proposta sull'Irap avanzata dalla responsabile di Confcommercio Professioni, Anna Rita Fioroni, "ipotesi di lavoro da prendere in attenta considerazione".
DETTAGLI EVENTO
Confcommercio
2017-11-09 | 2017-11-09 10.00
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