Aggiornamento delle analisi e delle previsioni del Pil nelle regioni italiane

Aggiornamento delle analisi e delle previsioni del Pil nelle regioni italiane

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6 ottobre 2011

Sintesi dei risultati

  • L’indebolimento dello scenario economico generale e gli effetti delle misure di finanza pubblica, tra cui l’aumento dell’Iva, spingono al ribasso le previsioni di Pil e consumi sia per il 2011 che per il 2012: per quest’anno, infatti, il tasso di crescita si attesterà a +0,7% (dal precedente +0,8%) rallentando ulteriormente nel 2012 con un +0,3% (da +1%); quanto ai consumi, +0,7% (da +0,8%) per il 2011 e +0,2 (da +1,1%) nel 2012;
  • a livello regionale, le regioni del Centro Italia – grazie anche ad una maggiore presenza di terziario di mercato – confermano il loro maggior dinamismo in termini di Pil con una quota di ricchezza prodotta, sul totale nazionale, che passa dal 21% del 1995 al 21,6% del 2007 e con una previsione al 2012 pari al 22%;
  • le regioni del Nord, anche a causa di una maggiore presenza di imprese industriali medio-grandi orientate all’export sono quelle che, invece, nel biennio di crisi hanno risentito maggiormente degli effetti della recessione registrando i maggiori cali di ricchezza prodotta, in particolare nel 2009: –6,5% Lombardia, –6,4% Piemonte, –6,1% Veneto ed Emilia Romagna; per il Sud, solo l’Abruzzo ha fatto peggio con un –7%;
  • in termini di Pil pro capite, è il Mezzogiorno a registrare le migliori performance, dal 2000 ad oggi, ma solo in virtù della minore crescita della popolazione di quest’area il cui divario con il resto del Paese rimane elevato e destinato, in assenza di interventi specifici, ad incrementarsi ulteriormente in futuro con una perdita progressiva di ricchezza prodotta: una proiezione di lungo periodo vede, infatti, ridursi l’apporto del Mezzogiorno in termini di Pil dal 24% del 1995 al 22,7% del 2017.

Dalla seconda metà dell’anno in corso, l’estendersi della crisi di fiducia dei mercati verso i debiti sovrani dell’eurozona anche a paesi non periferici, come Spagna e Italia, accompagnata da drastiche e continue correzioni al ribasso dei corsi azionari di tutte le principali piazze finanziarie e l’indebolirsi delle prospettive di sviluppo nei paesi avanzati a seguito del brusco rallentamento dell’economia nel secondo trimestre, inducono ad un downgrading delle stime della nostra crescita per l’anno in corso e della previsione sul 2012. Le revisioni al ribasso delle prospettive per la nostra economia sono dettate, inoltre, dagli effetti delle manovre di finanza pubblica dirette a fronteggiare i rischi di default del debito pubblico.

Sulla base delle nostre stime dell’elasticità della spesa delle famiglie al reddito disponibile, l’incremento dell’aliquota Iva dal 20% al 21% determinerà già nell’anno in corso un ridimensionamento del profilo di consumi e Pil in termini reali di circa un decimo di punto (tab. 1), con un’incidenza assai più accentuata nel corso del 2012 – per il dispiegarsi degli effetti di riduzione del reddito disponibile – nel corso del quale il ridimensionamento della crescita sarà dell’ordine dei sette decimi di punto per il Pil, che non andrà oltre lo 0,3%, e di quasi un punto per i consumi, che si attesteranno su un modestissimo +0,2%, alle soglie della stagnazione.

Il delinearsi di un siffatto quadro macroeconomico, meno dinamico rispetto a quanto ipotizzato nei mesi precedenti, suggerisce, a sua volta, una revisione delle stime degli andamenti del Pil nelle regioni italiane, dopo il rilascio, da parte dell’Istat, dei dati più aggiornati sugli aggregati di contabilità nazionale a livello regionale. Le dinamiche di lungo periodo indicano una maggiore dinamicità del Pil nelle regioni del Centro rispetto alle regioni del Nord. È evidente la progressiva riduzione di peso del Mezzogiorno rispetto al complesso della ricchezza prodotta nel Paese (fig. 1).

Le regioni del Nord, in considerazione di una maggior presenza sul territorio di imprese industriali di medio-grandi dimensioni orientate alle esportazioni, hanno risentito più intensamente della recessione, soprattutto durante il 2009, anno caratterizzato da un forte rallentamento della dinamica del commercio mondiale.

A livello di singole regioni (tab. 2) le riduzioni più significative del Pil prodotto si sono registrate in Piemonte, Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna al Nord. Umbria e Abruzzo hanno palesato le maggiori difficoltà tra le regioni del Centro e del Sud.

Anche in questo ambito non si può non sottolineare come il problema italiano non sia la recessione quanto la mancata ripresa: i ritmi con cui nel 2010 e nel 2011 e, in previsione, nel 2012, il Paese e le sue regioni stanno rispondendo alla crisi sono del tutto insufficienti anche soltanto per un piccolo recupero del terreno perso nel biennio 2008-2009 (tab. 1).

Particolarmente grave appare il fenomeno dello stacco crescente delle principali regioni del Mezzogiorno rispetto al resto del Paese.

I dati e le previsioni sull’evoluzione del prodotto lordo per abitante a prezzi costanti permettono di comprendere meglio cosa è accaduto a livello di singoli territori (tab. 3). Fatto 100 il valore del Pil reale per abitante nel 1995, per ciascuna regione italiana, si vede che nel 2007, anno pre-recessione, la crescita media per il prodotto interno pro capite è del 13,8% (l’indice appunto vale 113,8). Nel 2009, cioè dopo i due anni di recessione, per la media Italia tale indicatore vale 105. In molte regioni del Nord l’indicatore si colloca su valori prossimi a quelli di 15 anni prima. Fanno eccezione la Liguria, che sconta una flessione della popolazione, ed il Friuli Venezia Giulia, dove la crescita dei residenti ha assunto un’intensità minore rispetto ad altre zone.

I fenomeni demografici registrati nel Mezzogiorno, caratterizzati da una minore crescita della popolazione (con una riduzione complessiva di oltre 4 milioni tra il 1995 e il 2008), hanno determinato nel medio-lungo periodo tassi di sviluppo del Pil pro capite dell’area superiori rispetto al Centro-Nord ed una minore riduzione negli anni della crisi. Le migliori performance del Mezzogiorno in termini di prodotto pro capite riflettono, dunque, la dimensione paradossale del fenomeno: a fronte di un prodotto che cresce poco o rimane stabile, la riduzione della popolazione fa apparire la dinamica del dato pro capite meno sfavorevole di quanto effettivamente sia.

Le assai modeste prospettive di sviluppo del biennio 2011-12 non permetteranno a nessuna regione di tornare sui livelli pre-crisi. In alcuni casi, come quello emblematico della Lombardia, il prodotto per abitante, in termini reali, si collocherà su valori ancora inferiori a quelli realizzati nel 1995. In ogni caso, nel 2012, praticamente tutte le regioni del Centro e del Nord – ad eccezione della Liguria – registreranno valori inferiori a quelli del 2000.

C’è dunque il rischio che non di un solo decennio perso si debba parlare ma di due decenni sfumati, se si ragiona in termini di Pil pro capite e considerando le attuali scarse prospettive di crescita.

Per evidenziare le implicazioni prospettiche dell’attuale insoddisfacente crescita del Pil italiano, è stato proiettato al 2017 il tasso di medio di variazione osservato e stimato tra il 2008 e il 2012 per il prodotto lordo totale di ciascuna regione e le tendenze attuali della variazione della popolazione residente regione per regione (tab. 4).

Date le suddette ipotesi, il ritardo del Mezzogiorno si acuirebbe. Non soltanto la popolazione crescerebbe a un tasso medio dello 0,2% rispetto allo 0,4% del Nord e allo 0,5% del Centro, ma il Pil pro capite si muoverebbe a un tasso pressoché pari a zero (contro lo 0,8% del Nord-Ovest e l’1,0% del Nord-Est).

Rispetto al 2007, posto pari a 100, nel 2017, cioè dieci anni dopo, il Mezzogiorno avrà perso il 6,4% in termini di prodotto reale per abitante, il Centro poco più del 6% e il Nord-Ovest circa il 6,2%. La migliore performance spetterebbe al Nord-Est, con una riduzione dell’indice del prodotto reale per abitante del 5,3%. Per nessuna regione si può parlare di incrementi, semmai di un mero contenimento delle perdite, che si collocano ad un -0,5% per la Liguria e ad un -2,0% per il Trentino, paradossalmente le performance migliori.

In termini complessivi, la quota di ricchezza annualmente prodotta dal Mezzogiorno rispetto al totale Italia proseguirebbe la sua regressione: da quasi un quarto nel 1995 al 23,6% del 2007, fino al 22,7% del 2017.

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