Convegno "Il Digital Divide nella micro e piccola impresa italiana"

Convegno "Il Digital Divide nella micro e piccola impresa italiana"

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21 marzo 2007

Il Digital Divide nella micro e piccola impresa italiana

La tecnologia ha assunto oggi un ruolo fondamentale nei Paesi sviluppati, non solo nella vita di tutti i giorni dei cittadini, ma anche e soprattutto nel sistema produttivo ed economico. Numerose sono le evidenze empiriche a livello macroeconomico che sottolineano la relazione positiva fra spesa in Information Technology e ricchezza/ progresso di un Paese (in termini ad esempio di PIL pro capite).

La sostanziale arretratezza dell'Italia in questo senso è una realtà ormai nota: nel 2005, infatti, la spesa italiana in IT in rapporto al PIL si è attestata all'1,9%, lontana non solo dai valori dei Paesi considerati leader mondiali a livello di informatizzazione (Stati Uniti 4,0%, Svezia 4,4%, Gran Bretagna 4,2%), ma anche da quello medio dell'Europa a 25 (3,0%) . Questo si riflette, ad esempio, nella percentuale di lavoratori che usano un PC : in Italia essa si attesta intorno al 41%, ben al di sotto del 70% della Finlandia e del 66% della Francia, e comunque distante più di dieci punti dalla media dell'Europa a 25 (53%) . Ed anche considerando la diffusione del commercio elettronico la situazione dell'Italia non appare migliore, dato che solo il 3% delle aziende italiane vende prodotti online, a fronte di una media europea del 16%, e di un valore per il Regno Unito pari al 30% .

Questo scenario, di per sé già preoccupante, trascura però un segmento economico solitamente esterno alle indagini ufficiali (ISTAT, Eurostat): quello della micro e piccola impresa, ossia le entità con meno di dieci addetti, che in Italia occupa una posizione assolutamente di rilievo nella struttura economica, tradizionalmente frammentata e di piccole dimensioni.

Capire il livello di innovazione in questo segmento significa, quindi, dare uno spaccato significativo della reale dimensione del divario digitale a livello macro-economico, integrando quei dati già allarmanti relativi al nostro scenario produttivo.

Come utilizzano, quindi, la tecnologia le micro e piccole imprese italiane? Quale rapporto hanno con l'Information & Communication Technology e quanto la giudicano utile e produttiva per il loro business?

A queste domande prova a dare una risposta la ricerca sul digital divide proposta da Confcommercio e realizzata da Freedata.

Il lavoro, partendo dall'analisi della dotazione tecnologica delle aziende, arriva alla definizione ed alla misurazione del digital divide, attraverso una focalizzazione su tre variabili fondamentali: il settore di attività, la dimensione e la localizzazione geografica. Questo fornisce anche un vantaggio indiretto, ma certamente non secondario: la possibilità di definire politiche mirate al superamento del divario digitale, calibrate esattamente sulle esigenze delle specifiche singole realtà.

Il segmento al quale si rivolge la ricerca è quello delle imprese con meno di cinquanta addetti, attive nei settori del Commercio al Dettaglio, Commercio all'Ingrosso, Pubblici Esercizi e Servizi. Si tratta di un universo complessivo di aziende pari a 2.238.327 , che costituisce a livello numerico più della metà dell'intero sistema economico censito da ISTAT nel 2001 .

La ricerca è stata realizzata attraverso un'indagine campionaria che ha coinvolto più di 3.300 micro e piccole imprese e che, grazie ad un adeguato sistema di stima dei dati all'universo di riferimento, permette di avere un'immagine chiara e dettagliata dell'intero segmento analizzato (e non solo del campione effettivamente raccolto).

Ad una prima analisi dei dati raccolti, emerge chiaramente la peculiarità delle ditte individuali. Si tratta delle imprese con un singolo addetto e con un'organizzazione/struttura essenzialmente ridotta (al limite inesistente). Il loro peso numerico, nonostante la dimensione, è di rilievo sia nel segmento analizzato (62,5%), sia sul totale del sistema economico italiano (58,6% ).

La particolarità delle ditte individuali è evidente già nel primo dato che occorre valutare per giudicare la dotazione tecnologica: la percentuale di aziende che dispongono di almeno un PC (desktop o notebook).

Se infatti è assolutamente lecito attendersi che questo valore sia crescente al crescere della dimensione aziendale (così come crescente è l'intera dotazione tecnologica), non può non colpire la distanza fra il valore relativo al segmento delle ditte individuali e quello relativo alle imprese di fascia dimensionale immediatamente superiore: le ditte individuali con almeno un PC sono infatti il 66,9% del totale, percentuale che balza all'83,7% nelle imprese con numero di addetti compreso fra 2 e 5, per arrivare poi (con salti tra fascia e fascia di entità via via decrescente) alla quasi totalità per le imprese tra i 20 e 50 addetti.

Nel complesso del target analizzato, le imprese con almeno un PC sono pari al 73,8%, percentuale che assume però declinazioni differenti in funzione del settore merceologico. Emerge infatti una netta contrapposizione fra due settori più avanzati tecnologicamente e due settori decisamente in ritardo, contrapposizione che resta sostanzialmente presente non solo per quanto riguarda il PC, ma per qualsiasi aspetto della dotazione tecnologica si voglia considerare.

Con un livello tecnologico più avanzato emergono i Servizi e soprattutto il Commercio all'Ingrosso (la percentuale di aziende con almeno un PC è pari rispettivamente all'84,5% e al 91,8%), mentre più arretrati risultano i Pubblici Esercizi (penetrazione del PC pari al 66,5%) e il Commercio al Dettaglio (55,3%). Bisogna sottolineare però che la causa di questa differenza fra settori non può essere rintracciata nella differente dimensione aziendale prevalente, dato che le ditte individuali assumono un peso maggiore proprio nei settori più evoluti tecnologicamente. Nello specifico, infatti, la dimensione aziendale media non subisce particolari differenze da settore a settore (ed anzi è minima in corrispondenza dei Servizi), e la penetrazione delle ditte individuali per settore si attesta sui seguenti valori: Servizi 70,9%, Commercio all'Ingrosso 66,6%, Commercio al Dettaglio 56,6%, Pubblici Esercizi 41,1% .

Sulla base dell'osservazione delle principali differenze che caratterizzano il livello di dotazione tecnologica dei diversi settori, si è arrivati ad una definizione di digital divide modulata per l'attività economica svolta dall'azienda. All'interno di ogni settore merceologico sono stati individuati tre clusters di imprese, definiti rispettivamente come Low-Tech, Medium-Tech e High-Tech.

L'analisi porta ad una classificazione delle imprese rispetto alle aziende attive nel medesimo settore, piuttosto che in riferimento al totale aziende del target. In questo modo, gli aggettivi utilizzati (Low, Medium e High) non sono da intendersi in senso assoluto: essi sono referenziati rispetto alle imprese dello stesso settore, di modo che sono da intendersi come aggettivi relativi alla posizione di quell'impresa/gruppo di imprese rispetto alle altre che svolgono la medesima attività.

Le differenze fra settori possono essere colte valutando i diversi profili a parità di cluster ed analizzando quali sono le caratteristiche che meglio permettono di segmentare le aziende all'interno del settore.

Nel Commercio al Dettaglio e nei Pubblici Esercizi (i due settori in cui il ritardo tecnologico è più evidente), le variabili maggiormente significative per la segmentazione si riferiscono ad un uso della tecnologia marginale, in sostanza il possesso del PC, della connessione ad Internet e l'utilizzo di programmi di tipo Office. In questi due settori, avere o non avere un PC (che ormai implica nella quasi totalità dei casi disporre di una connessione Internet e di programmi tipo Office) è già un fattore discriminante (in particolare fra i cluster Low e Medium), mentre variabili tecnologicamente più avanzate risultano meno significative, in quanto permettono di discriminare un gruppo ristretto di aziende (definite High-Tech).

Al contrario, nel settore dei Servizi e del Commercio all'Ingrosso, la variabile discriminante non è più la presenza di un PC e di Internet (dotazione sostanzialmente scontata per le aziende di questi settori), ma quella di un Server e, più in generale, l'utilizzo della tecnologia in modo più intenso e strategico per il proprio business; questo sia dal punto di vista della rete Internet (ad esempio, diventa discriminante la disponibilità di un servizio di Home Banking), sia rispetto agli applicativi utilizzati (gestionali e non più programmi tipo Office e semplici fogli di calcolo).

In questi due settori, in cui la tecnologia di base è pressoché uniformemente presente, è stato possibile rilevare sfumature non più e solo relative alla quantità, ma anche alla tipologia/qualità delle tecnologie presenti.

Così, mentre nei Servizi alcune differenze sono evidentemente dovute alla molteplicità di attività (e quindi necessità) che genericamente si racchiudono in questo settore, nel Commercio all'Ingrosso si distingue un gruppo di imprese più focalizzate sull'ambito rete e mobility (e con un parco installato recente) ed un gruppo probabilmente meno attivo nello sfruttamento della rete, ma più focalizzato sull'informatizzazione dei processi gestionali interni.

L'analisi svolta sui singoli settori merceologici viene poi sintetizzata con l'identificazione di tre clusters generali, definiti Low-Tech, Medium-Tech ed High-Tech, risultanti dalla somma dei relativi clusters nei quattro settori; questi non rappresentano una sostanziale omogeneità di dotazione tecnologica al loro interno, ma una posizione simile nel percorso tecnologico del settore: in definitiva sono la descrizione sintetica dello stato tecnologico di un certo set di imprese.

Per quanto concerne l'impatto della dimensione aziendale, essa ha ovviamente una relazione diretta con la percentuale di imprese High-Tech (al crescere della dimensione cresce il peso delle aziende più avanti nel percorso tecnologico) ed inversa con la percentuale di aziende Low-Tech.

Ma il dato assume particolare interesse se associato allo stato dell'arte del divario tecnologico nelle diverse aree geografiche.

Ad una sostanziale uniformità per quanto riguarda Nord-Ovest, Nord-Est e Centro, si contrappone un Sud caratterizzato da una maggior presenza di aziende Low-Tech rispetto alle altre aree. Questo apparente ritardo del Mezzogiorno può però essere spiegato attraverso la diversa struttura economica, tanto che in questa luce l'influenza di un ipotetico "effetto area" è del tutto marginale: non è vero che le aziende del Sud investano sistematicamente meno delle omologhe del Centro-Nord, ma è vero che il Sud è caratterizzato da una maggior presenza di aziende individuali operanti nel Commercio al Dettaglio, settore che abbiamo sopra rilevato essere il meno "evoluto" dal punto di vista tecnologico. È allora il maggior peso di questa categoria di imprese a determinare il ritardo del Sud, e non una sistematica minor propensione all'investimento in IT.

Quali le soluzioni per tentare di colmare il divario digitale? Quali politiche e strategie possiamo ipotizzare per accelerare l'adozione delle tecnologie e dell'approccio all'innovazione in tutte le categorie di imprese, indipendentemente dalla loro dimensione e dal settore merceologico di attività?

Sembra innanzitutto necessario il contestuale intervento di più attori e la realizzazione di diverse condizioni.

Un'associazione di categoria ha certamente margine e possibilità di azione, ma le leve su cui può agire sembrano maggiormente efficaci per incrementare la propensione all'utilizzo di tecnologie da parte di chi già ha con esse almeno un minimo di confidenza, piuttosto che per far avvicinare ad esse le aziende che ne sono al momento totalmente estranee: per riprendere la terminologia usata in precedenza, i possibili interventi dell'associazione appaiono più utili per il passaggio da Medium-Tech ad High-Tech (o per un ulteriore aumento dell'High-Tech), piuttosto che per il passaggio da Low-Tech a Medium-Tech. Sono infatti i titolari delle imprese a maggior dotazione tecnologica a percepire in modo più sensibile ostacoli all'(ulteriore) investimento e, di conseguenza, a ritenere maggiormente efficaci eventuali azioni da parte dell'associazione che li rappresenta.

In estrema sintesi, all'associazione viene prioritariamente richiesta attenzione ai temi della connettività, sia in termini di sostegno alla diffusione di banda larga, sia al controllo dei prezzi di accesso alla rete, ed un vigoroso impegno nel portare all'attenzione delle aziende che offrono tecnologia i bisogni della domanda di settori trascurati quali il Commercio al Dettaglio ed i Pubblici Esercizi, favorendo la spinta alla ricerca di soluzioni interessanti per il core business di queste imprese.

Al contrario, i titolari di aziende che sfruttano in modo minimo (se non addirittura nullo) le nuove tecnologie mostrano sostanziale disinteresse per l'argomento: la loro decisione di non investire appare più come una sorta di non decisione derivante da una probabile mancanza di effettiva conoscenza e di utilità percepita.

Per fare in modo che anche queste aziende, per le quali è massimo il digital divide, possano avvicinarsi alle nuove tecnologie, non sembra sufficiente attendere un completo ricambio generazionale: il fattore "età del titolare" ha un'influenza modesta sulla dotazione tecnologica aziendale, e si evidenzia solo dopo i cinquantacinque anni di età.

Occorre, piuttosto, agire su due fronti: da un lato l'istruzione di base, e dall'altro l'offerta informatica e la sua contestuale comunicazione.

Il fattore "titolo di studio del titolare" ha, infatti, forte impatto sull'investimento effettuato dalla relativa azienda: questo ci indica, quindi, la necessità di aumentare la confidenza con gli strumenti tecnologici attraverso programmi ad hoc nel sistema scolastico di base, inseriti in un trend di progressivo aumento del livello medio di scolarizzazione.

In secondo luogo, occorre agire anche da lato dell'offerta di tecnologia: è necessaria un'offerta di prodotti informatici più specifici, tarati sulle diverse esigenze caratteristiche di ogni settore merceologico e dimensione aziendale, accompagnata da una adeguata comunicazione dei benefici che la tecnologia può offrire per il business. In altre parole, l'offerta deve progressivamente orientarsi ad un approccio empatico ai bisogni della domanda, per stimolarla e supportarla nella crescita.

Anche così si può, e si deve, concretizzare la vera e virtuosa valenza anticiclica dell'industry ICT, sinergica alla crescita della competitività del sistema economico nel suo complesso.

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Manifesto dell'innovazione

Negli ultimi anni il settore dell'Information & Communication Technology è diventato uno degli strumenti fondamentali attraverso cui incrementare la produttività e la competitività dei c.d. Sistemi Paese e allo stesso tempo delle imprese che vi operano.

L'affermazione è confermata dal fatto che, sulla base delle ultime ricerche effettuate e dei numerosi studi, questo settore, nell'ultimo decennio, ha creato ricchezza e occupazione crescendo più rapidamente degli altri segmenti economici.

Se questo è un dato sicuramente incoraggiante, si deduce però che uno dei fattori principali nel determinare e ampliare i gap di competitività tra i vari Paesi e fra i vari soggetti coinvolti è il c.d. "Digital divide", inteso come differenziale di investimenti nel settore dell'Information Technology, il divario, quindi, fra chi accede all'innovazione tecnologica e chi no.

Con tali premesse, l'osservazione del fenomeno del divario digitale e delle politiche attuate per il suo superamento costituisce per Confcommercio un terreno di sicuro interesse, sul quale formulare delle proposte in grado di incidere positivamente sul progresso economico, sociale e culturale del Paese.

E come attuare tutto questo? Il problema è, in primo luogo, quello di incidere sulle Istituzioni e sull'economia reale, sulla struttura produttiva e distributiva, sulle Università e sulla scuola, sul sistema della ricerca, sulle infrastrutture, sulla creazione e diffusione dell'innovazione. Ovviamente tenendo in debito conto la stabilità macroeconomica.

È questo il compito del Governo, ma anche delle forze produttive e sociali, del mondo della cultura, della scuola e della ricerca, dagli studenti, ai docenti, ai ricercatori. Sviluppo e competitività dipendono da molteplici fattori e da un'azione congiunta di più soggetti. È un atteggiamento, un orientamento complessivo, di Istituzioni imprese e cittadini, non una formula magica e, pertanto, tutti dobbiamo concorrervi.

Occorre, dunque un nuovo Piano per l'Italia Digitale che sia in grado di coinvolgere con una visione di sistema, Istituzioni Locali, Sindacati, Associazioni Imprenditoriali e dei Consumatori, Università e tutto il mondo della formazione.

Tale Piano dovrebbe avere le caratteristiche di un grande progetto Paese ed essere espressione di una volontà condivisa tra tutte le parti sociali e le forze politiche di rilanciare l'economia del Paese con processi innovativi realizzati attraverso l'ICT.

In questo senso, il Governo dovrà avviare una riflessione sulle forme in cui costituire una specifica cabina di regia che predisponga una sorta di master plan strutturato sulle seguenti linee di azione.

  • Realizzazione di un mercato aperto in cui i competitor possano entrare ed operare in piena concorrenza. È necessario adottare misure che creino sviluppo e dinamicità all'interno del mercato, sfruttando tecnologie efficienti e accessibili anche ai piccoli e nuovi operatori. In particolare, si propone l'attuazione di una politica di gestione e controllo della rete infrastrutturale che permetta la sua massima efficienza e, al contempo, l'interconnessione degli operatori a condizioni concorrenziali.
    La liberalizzazione delle TLC dovrebbe introdurre una netta riduzione dei costi e un miglioramento dei servizi.
  • Sviluppo di tecnologie, come quelle wireless, che creino spazi di mercato in cui i piccoli operatori possano posizionarsi concorrenzialmente al fine di offrire soluzioni adatte alle PMI.
    In particolare, per quanto riguarda il WIMAX si auspica che tutte le frequenze siano assegnate ad un unico soggetto con il vincolo di non poter vendere all'utenza finale, ma solo agli operatori. Facendo gravare su tale entità l'obbligo di operare con i vari operatori in modo non discriminatorio.
    Tale misura garantirebbe un uso efficiente della risorsa e nel contempo permetterebbe anche alle realtà più piccole e più localizzate sul territorio di godere dell'uso di questa tecnologia con grande vantaggio per le PMI.
  • Sviluppo degli strumenti di e-government a favore delle PMI. Favorire, quindi, le attività di sensibilizzazione, di formazione, di assistenza e di consulenza a vantaggio delle piccole e medie imprese, affinché possano accedere a questo nuovo mercato delle forniture pubbliche.
  • L'apertura alle piccole e medie imprese del mercato dell'e-procurement favorirebbe la competitività delle stesse e anche un impulso a dotarsi tecnologicamente e potenziare i propri investimenti in ICT.
  • Potenziamento di programmi di formazione per piccoli imprenditori – soprattutto in quei settori in cui le nuove tecnologie stentano a penetrare – sfruttando anche il ruolo strategico delle organizzazioni di categoria. Una maggiore diffusione della consapevolezza informatica e, quindi, delle capacità di utilizzazione degli strumenti tecnologici permette, infatti, di effettuare una valutazione più mirata dell'investimento e in subordine una ottimizzazione del risultato grazie alla migliore utilizzazione degli stessi. Se sino ad oggi i soli grandi gruppi industriali hanno avuto la possibilità di investire in formazione, è necessario colmare questo gap e permettere anche alle piccole imprese di accedere alla c.d. cultura informatica.

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