Sui possibili effetti di breve termine di un rialzo dell’inflazione

Sui possibili effetti di breve termine di un rialzo dell’inflazione

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8 novembre 2021

In questa nota si stima l’effetto di breve periodo, segnatamente per il quarto trimestre 2021, di un rialzo dell’inflazione sui consumi delle famiglie, nell’ipotesi che i redditi non risentano di alcuna forma di indicizzazione.

Per il quarto trimestre del 2021, si valuta che un’inflazione al consumo al 3% tendenziale, rispetto a uno scenario base con prezzi crescenti al 2%, ridurrebbe la spesa reale di circa 2,7 miliardi di euro (circa l’1% del volume di consumo dello scenario di base). Una media al 4% nello stesso quarto dell’anno, ridurrebbe la spesa di 5,3 miliardi di euro.


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Non sembra emergere ancora alcuna preoccupazione per i possibili generalizzati rialzi dei prezzi al consumo nel prossimo futuro presso le principali economie avanzate. Giovedì 28 ottobre la BCE non ha modificato i livelli dei tassi di policy e ha confermato la propria visione rassicurante riguardo alle prospettive future dell’inflazione e, quindi, sull’utilizzo degli strumenti di politica monetaria. Secondo questo schema, le pressioni su prezzi e costi di produzione, variamente emergenti nello scenario internazionale, resterebbero confinate a un limitato orizzonte temporale, seppure non è dato conoscere l’ampiezza di tale ipotetico intervallo[1].

La suddetta visione è molto diffusa, come si evince dalle previsioni delle variazioni degli indici di prezzo – anche nella metrica dei deflatori dei consumi – contenute nei documenti programmatici di bilancio dei principali paesi dell’area euro. A queste indicazioni, nella tabella 1, sono affiancate quelle del governo del Regno Unito, il solo che, al di là di moderati effetti sui prezzi (+0,4%) dovuti all’introduzione di alcune misure fiscali contenute nella legge di bilancio, sembra incorporare qualche tensione sui prezzi finali di beni e servizi, che potrebbe perdurare per almeno dodici mesi.


Tab. 1 - Variazioni dei prezzi al consumo o dei deflatori contenute nei documenti dei governi (Preliminary Draft per i Paesi dell’area euro)

(*) aggiornate dopo l’invio del Preliminary Draft alla Commissione Europea; (**) tratte da documenti del governo del Regno Unito.
Elaborazioni USC su dati Commissione Europea, MEF, BMWi, Office for Budget Responsibility.
  2021 2022
Francia 1,5 1,5
Germania (*) 3,0 2,2
Italia 1,5 1,6
Spagna 1,9 1,3
UK (**) 2,3 4,0

 

Un’idea largamente condivisa presso le istituzioni e i principali previsori, ma non del tutto condivisibile, è quella che per generarsi inflazione debbano continuare a crescere i prezzi delle materie prime internazionali. Dati gli shock che sono stati osservati di recente, riteniamo invece sufficiente una stabilizzazione delle attuali quotazioni per generare una propagazione piuttosto dai prezzi all’importazione a quelli all’ingrosso e poi al consumo. Questi processi richiedono, comunque, un po’ di tempo.


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In ogni caso, l’inflazione non attesa riduce, almeno nel breve periodo, il potere d’acquisto dei redditi e degli asset detenuti dalle famiglie in forma liquida, cioè non indicizzata al livello dei prezzi.

Attraverso una semplice funzione del consumo[2] in cui la variabile ricchezza finanziaria è distinta in liquida e non liquida, si ottengono i risultati sintetizzati nella tabella 2: meno 1% e 1,9% circa per il consumo aggregato a fronte di un incremento dell’inflazione dal 2% al 3% (primo scenario) e dal 2% al 4% (secondo scenario) nella media del quarto trimestre dell’anno in corso. È del tutto evidente che le perdite approssimativamente stimate vanno lette come conseguenze di un effetto reddito reale negativo, rinforzato nell’intensità dalla perdita di potere d’acquisto della ricchezza finanziaria liquida, quest’ultima fortemente cresciuta tra il 2019 e il 2021 sia a scopo precauzionale, sia, per la maggior parte, a nostro avviso, per la mancanza oggettiva di opportunità di acquisto durante la fase di lockdown o di limitazione della mobilità.


Tab. 2 - Reddito disponibile (Yd) e ricchezza finanziaria liquida (WFL) nello scenario base, variazione % dei prezzi al consumo e perdite di spesa delle famiglie in due scenari alternativi (sc1 e sc2) rispetto allo scenario base

(*) consistenze al quarto trimestre dell’aggregato “biglietti, monete e depositi; reddito disponibile e ricchezza liquida in miliardi di euro correnti. Elaborazioni e stime USC su dati Istat e Banca d’Italia.
  Yd WFL (*)  
2019 1.157,9 1.460,0  
2020 1.123,4 1.564,7  
2021 1.156,4 1.643,0  
IPC - var. % tendenziali  
  base sc1 sc2
2021-3 2,2 2,2 2,2
2021-4 2,0 3,0 4,0
perdite di spesa delle famiglie rispetto allo scenario base nel quarto trimestre 2021
miliardi di euro -2,7 -5,3
in % dei consumi dello scenario base 1,0 1,9

 

Per il 70% le perdite stimate sono dovute a immediate riduzioni di potere d’acquisto del reddito disponibile; per la restante parte al minore potere d’acquisto della ricchezza finanziaria detenuta in forma liquidita e, quindi, non protetta dall’inflazione inattesa.

Che tali potenziali incrementi dei prezzi – essendo piuttosto probabile un abbondante superamento del 3,0% tendenziale dei prezzi nel quarto trimestre – non comportino alcuna variazione nelle aspettative delle famiglie e non riducano gli acquisti durante l’importante periodo natalizio, appare piuttosto inverosimile[3].

Inoltre, è possibile ipotizzare una crescita della quota di spesa destinata a spese obbligate, in ragione dell’incremento dei prezzi dell’energia che si è già riflesso sulle bollette di luce e gas (nonostante i sostegni stanziati dal governo per neutralizzare, in parte, gli effetti di tali aumenti sui bilanci delle famiglie, in particolare di quelle più fragili sotto il profilo del reddito da lavoro).

Pertanto, data la rigidità delle spese obbligate – anche rispetto a variazioni dei prezzi relativi – si può immaginare, se gli scenari descritti dovessero risultare verosimili, un impatto piuttosto rilevante sui consumi commercializzabili.

Non si possono trascurare neppure conseguenze più rilevanti per l’anno 2022, anche in termini di crescita economica, negativamente influenzata da una minore domanda reale di consumo.

 


[1] È il tema dei rialzi temporanei - altrimenti detti transitori - sulle materie prime, energetiche e non, e con riferimento alla persistenza di disfunzioni nelle catene internazionali di approvvigionamento. Le perplessità riguardo a questo approccio sono trattate sia in Ufficio Studi Confcommercio (USC), 2021, L’(in)atteso ritorno dell’inflazione, luglio, sia in USC, 2021, Note sulla condizione economica dell’Italia dopo la pandemia, 29 settembre. I documenti sono presenti nella sezione pubblica dell’USC del sito www.confcommercio.it.

[2] Attraverso cui stimiamo elasticità della spesa reale delle famiglie al reddito da lavoro pari a 0,7 e alla ricchezza finanziaria detenuta in forma liquidita di poco meno di 0,3.
[3] La variazione percentuale dei prezzi al consumo in ottobre ha raggiunto il 2,9% (dato provvisorio). L’inflazione core - componente di fondo, cioè variazione dei prezzi al consumo al netto di energetici ed alimentari freschi - nello stesso mese è all’1,2%, dall’1% di settembre. In generale, il processo di diffusione dei rialzi dei prezzi appare più lento e meno intenso di quanto da noi ipotizzato alcuni mesi fa.

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