La manovra parte da 25 miliardi, senza Iva deficit al 3,4%

La manovra parte da 25 miliardi, senza Iva deficit al 3,4%

Preosegue il ciclo di audizioni sul Def presso le commissioni Bilancio di Camera e Senato. Istat, Bankitalia e Upb, apprezzano il realismo della pesante revisione della crescita 2019 allo 0,2%, ma l'Istituto di statistica avverte: un aumento dell'Iva deprimerebbe i consumi di 0,2 punti percentuali.

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13 aprile 2019

Una manovra tutta in salita. Con una base di partenza di 25 miliardi da reperire solo per dare un po' di ossigeno agli investimenti e neutralizzare gli aumenti automatici dell'Iva, in assenza della quale il deficit schizza al 3,4%. Un "puzzle complesso" - come lo definisce l'Ufficio parlamentare di bilancio - le cui fondamenta poggiano su una crescita e un debito che potrebbero fare peggio del previsto, con l'incognita dello spread e di un piano di privatizzazioni che rischia di rivelarsi "in tutto o in parte inattuabile". Ai primi passaggi parlamentari del Documento di economia e finanza appena approvato, emergono tutte le criticità dell'impalcatura dei conti pubblici con cui il ministro dell'Economia, Giovanni Tria, ha dovuto trovare la quadra fra le esigenze di Lega e M5s, i vincoli europei, una crescita stagnante e il 'totem' politico della sterilizzazione dell'aumento Iva: un macigno, che il Def mette nel quadro programmatico, che i partiti non vogliono ma sulle cui alternative il Def, di fatto, glissa. Istat, Bankitalia e Upb, in audizione alle commissioni Bilancio di Camera e Senato, apprezzano il realismo della pesante revisione della crescita 2019 allo 0,2% a soli quattro mesi dall'indicazione di un +1%. Un quadro "complessivamente condivisibile", dice il capo economista di Bankitalia Eugenio Gaiotti, "verosimile" anche per l'Istat dopo il recupero della produzione industriale d'inizio anno che fa sperare. Ma il contesto globale, alla guerra dei dazi alla Cina, espone anche quello 0,2% a "forti rischi" tanto per l'Upb che ha validato il documento, che per Bankitalia ("rischi notevoli") e Istat. E il percorso "più che impegnativo" con 3 anni di manovre da 21, 29 e 36 miliardi per rispettare la riduzione del deficit  indicata, viene sottolineato dalla Corte dei Conti. Una revisione della crescita potrebbe già da sola far ballare gli altri numeri del Def. Ma anche senza, resta la criticità delle coperture, che Bankitalia definisce "di notevole entità": 23 miliardi per fermare l'aumento dell'Iva (secondo l'Istat deprimerebbe i consumi di 0,2 punti percentuali). Altri due miliardi per gli investimenti pubblici, la cui effettiva implementazione (finora blanda) dal 2020 in poi è tutta da verificare sul banco di prova del decreto crescita e dello 'sblocca-cantieri'. E ancora, la spending review da due miliardi per portare il deficit al 2,1% come da programma, quando è lo stesso documento a svelare le tante richieste di tagli ai Ministeri andate a vuoto e con la Corte dei Conti che lancia l'allarme sui tagli ancora una volta indirizzati sui servizi ai cittadini ; uno sfoltimento della selva delle agevolazioni fiscali; infine "effettivi risultati nel contrasto all'evasione" senza i quali - avverte Bankitalia - il deficit è destinato a salire e che, ricordano i magistrati contabili, sono il nodo principale del nostro sistema fiscale. Sono risorse ancora tutte da trovare, ma imprescindibili se il governo andrà avanti sulla flat tax, che i partiti di maggioranza hanno voluto fosse messa a programma, sia pur con vaghezza, nel Def. Senza l'Iva maggiorata (o misure alternative) e senza le altre coperture, il debito - avverte il presidente dell'Upb Giuseppe Pisauro - è diretto verso il 135,4%. Un segnale che farebbe balzare lo spread che, solo restando fermo ai livelli attuali, si mangerà 11 miliardi in spesa per interessi da qui al 2021 secondo Bankitalia e che sottrae 0,1 punti di Pil dopo un anno, e ben 0,7 punti dopo tre: l'obiettivo, spiega Gaiotti, è al contrario dare agli investitori un "messaggio credibile di riduzione del debito pubblico". Una simile traiettoria del debito, poi, farebbe scattare l'alt di Bruxelles: perché anche se il deficit strutturale, nei conteggi del Def, non è in significativa violazione, secondo l'Upb i target di riduzione del debito non vengono rispettati dal Def né nel 2018 né negli anni successivi. Sul debito pesa poi l'incognita di incassi da privatizzazione stimati in 17,8 e 5,5 miliardi nel 2019 e 2020 rispettivamente. Ma è nuovamente Bankitalia a certificare che i target sono stati "sistematicamente" delusi in passato. L'Upb parla del rischio concreto che quel programma ambizioso di dismissioni possa rivelarsi "in tutto o in parte inattuabile".

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