Ruote d’Italia: “affrontare le vere priorità"

Ruote d’Italia: “affrontare le vere priorità"

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6 aprile 2022

Si rafforza l’ondata comunicativa volta a generare un sentire comune sulla necessità di dare corso ad iniziative tutte proiettate nel futuro, per far uscire l’economia del Paese da una situazione non certo rosea.

È attraverso la forza della comunicazione che si forma l’opinione pubblica, soprattutto in un’epoca come quella che stiamo vivendo, segnata da una vera e propria sovraproduzione e sovraesposizione mediatica. A dominare il dibattito, fino ad oggi, sono stati i temi legati alla pandemia ed alle sue conseguenze.

Tutti ricordiamo il martellamento a cui siamo stati soggetti nei mesi passati. Messaggi pubblicitari, articoli, trasmissioni, dibattiti a non finire. L’obiettivo era quello di indurre i cittadini ad accettare le scelte del Governo attraverso la presentazione, talvolta un po’ esagerata, della realtà e di certo è stato raggiunto. 

Intanto, come si verifica in alcuni video giochi, ecco apparire un nuovo mostro: la guerra! Non c’è che la condanna! Non vorrei che il tutto fosse parte di una precisa strategia per la conquista del potere da parte di gruppi finanziari. La gente? carne da macello. Il “fattore uomo” sempre più viene messo in fondo alla scala dei valori. La società dominante pensa solo ad acquisire più potere finanziario e ad allargare le proprie aree di influenza.  

In questi giorni, le immagini dominanti sono quelle drammatiche della guerra. Il “Mostro Covid” è messo da parte e la massima concentrazione ovviamente è indirizzata sulle conseguenze del conflitto russo-ucraino. Anche in questo caso, che vi sia un disegno ben preciso dietro?

Intanto il “terzo mostro” sta arrivando. Questa volta si tratta di un mostro economico, la cui azione è ancora più subdola dei precedenti perché fa leva su un presupposto condiviso da tutti: la necessità di tutelare l’ambiente e salvaguardare il Pianeta. L’ambientalismo ed i cambiamenti climatici sono ormai argomenti imperanti in tutti i media ma con scarsità di contradditorio. Non sfuggirà a nessuno come le pubblicità, i giornali ed i dibattiti, pur ponendo un tema legittimo, offrano una narrazione monocorde dei fatti e forniscano indicazioni univoche a favore di alcune fonti energetiche rispetto ad altre, sostenendo scelte che andrebbero forse meglio considerate. ll Fit for 55, che la classe dirigente nostrana ha supinamente accettato, contiene un pacchetto di misure draconiane conformi agli obiettivi imposti dagli eurocrati di Bruxelles. Transizione ecologica ed investimenti sono strettamente legati, tanto che nessuno può dirsi in modo ragionevole contrario alla tutela dell’ambiente ed al contrasto ai cambiamenti climatici. Ma può l’ecologismo essere preso come valore assoluto o paradigma indiscutibile? Come mai si parla poco della questione smaltimento delle batterie, pensando all’energia elettrica? Quando mai si è approfondito come essa venga prodotta? Perché non si potenzia il Gnl che è l’unico combustibile alternativo attualmente utilizzabile sia per il trasporto marittimo che per quello su gomma pesante? Non sarà certo l’eolico a generare l’energia sufficiente a soddisfare le necessità di società altamente sviluppate come la nostra. L’Italia ha rifiutato l’energia nucleare; si è opposta per anni alle trivellazioni e ai collegamenti infrastrutturali. Oggi rischia di pagare il conto di tali scelte poco lungimiranti e imbocca una strada che avrà gravi ripercussioni su tante attività e sulla vita dei cittadini. Ciò che sembra regolare la nostra società è la “cultura del divieto”, fatta eccezione per alcune teorie a senso unico. Incentiviamo l’idrogeno pensando ad un futuro non così prossimo, ma compromettiamo il presente. Che sia il caso di svegliarsi?

Mi verrebbe spontaneo domandarmi quanti uomini politici abbiano letto e pensato di coniugare, con la necessaria attenzione, le strategie ed i tempi per raggiungere i nuovi traguardi. Le priorità reali sono le pale eoliche o le centrali nucleari? L’elettrico o il GNL? I collegamenti transalpini o le ciclopedonali? I monopattini - peraltro introdotti nelle nostre città senza regole di sicurezza, forse per favorirne la crescita - oppure una riorganizzazione della logistica urbana?

Siamo sicuri che i tempi posti come dead line siano compatibili con le esigenze dell’economia italiana? Siamo convinti di aver individuato realmente la chiave del benessere dei cittadini? Non bisognerebbe occuparsi prima di sicurezza, infrastrutture, tenore di vita della popolazione e rafforzamento delle libere attività dell’uomo, prima di pensare alla “mobilità dolce”? La transizione ecologica affrettata non finirà per avere effetti negativi, avviandoci verso la decrescita (in)felice?

Ogni realtà di rappresentanza ha il dovere di misurarsi col cambiamento dei tempi, ma deve anche avere il coraggio di opporsi a quelle evoluzioni che mettono in crisi le attività imprenditoriali e promuovere invece quelle che producono miglioramenti senza escludere parti del tessuto sociale. Siamo sicuri che la desertificazione delle aree urbane sia segno di sviluppo o che la scomparsa di 85mila negozi negli ultimi dieci anni non sia il segno di una direzione a senso unico pericolosa per tutti? Occorrerà riflettere e magari pretendere un allungamento dei tempi fissati dal “gretinismo” ormai imperante.

 

Paolo Uggè

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