Sintesi rapporto Censis-Confcommercio

Sintesi rapporto Censis-Confcommercio

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14 novembre 2006

 

 

 

 

 

 

 

L’IMPRESA DI FARE IMPRESA

Sintesi del Rapporto

Censis-Confcommercio

 

 

 

 

 

 

 

Roma, 14 novembre 2006


IL PERCORSO A OSTACOLI DEL FARE IMPRESA

La modernizzazione di un sistema produttivo richiede la compresenza di due elementi essenziali: da un lato una solida classe imprenditoriale, dall’altro un contesto ambientale in grado di sostenere, attraverso procedure e controlli fluidi, rapidi e leggeri, il ciclo di vita di una azienda, dalla fase di avvio a quella di sviluppo e consolidamento sul mercato.

Qualche esempio sulla situazione italiana. Nel nostro paese sono necessari 9 adempimenti amministrativi e fiscali per costituire una nuova impresa; un’azienda deve poi espletare 17 diversi passaggi presso gli uffici della Pubblica Amministrazione, spendendo non meno di 284 giorni, al fine di ottenere permessi e autorizzazioni necessari per la costruzione di un immobile da destinare ad uso magazzino; sono necessari 8 successivi passaggi burocratici (il doppio di ciò che è richiesto mediamente nell’insieme dei paesi Ocse) per la registrazione della proprietà di un bene immobile strumentale allo svolgimento dell’attività di impresa; occorrono 40 passaggi legali-amministrativi e 1.210 giorni prima di giungere ad una sentenza ingiuntiva atta a risolvere un eventuale contenzioso commerciale.

La domanda è retorica ma inevitabile: fino a quando nel nostro paese si continuerà a pensare che l’innalzamento del livello di competitività delle aziende è solo il frutto degli sforzi dei singoli imprenditori e non un mix complesso di elementi in cui assumono rilievo anche il contesto infrastrutturale e una macchina burocratica pubblica più snella, garante del rispetto delle norme, ma non vessatoria?

Se è vero che gli ultimi cinque anni di debole crescita economica hanno messo a nudo la crisi di competitività che caratterizza parte del sistema di impresa nazionale, è altrettanto vero che il contesto burocratico, la macchina amministrativa dello Stato, il sistema delle regole, non hanno affatto aiutato le aziende e i comparti produttivi a contrastare la crisi, ma hanno svolto il ruolo, nei casi migliori, di interlocutori deboli dell’impresa, se non di rigidi applicatori di norme, talvolta inutili.

Il 32% di un campione di aziende con più di 20 addetti analizzate dal Censis ritiene che le inefficienze della macchina pubblica siano state pregiudizievoli, negli ultimi anni, per lo sviluppo d’impresa, e la quota sale al 37% tra le aziende del Nord Est e al 38% tra quelle localizzate nel Mezzogiorno. Un imprenditore su tre, insomma, ritiene che la struttura amministrativa pubblica abbia rallentato il miglioramento dell’attività aziendale, o comunque non l’ha favorita, a causa di procedure di legge espletate con eccessiva lentezza (fig. 1).

Più nel dettaglio, la parte degli intervistati (32%) che ha indicato di avere avuto o di avere un rapporto piuttosto critico con il sistema pubblico sottolinea tra i fattori scatenanti di tale relazione conflittuale (fig. 2):

-   la lunghezza delle procedure burocratiche e dei passaggi che una pratica effettua da un ufficio all’altro della medesima amministrazione (44,3% degli intervistati);

-   la mancanza di un incisivo intervento pubblico sulle questioni di maggiore rilevanza per il territorio in cui l’impresa è collocata (36,8% del campione);

-   il senso di generale inefficienza organizzativa e gestionale che traspare dai front desk delle amministrazioni pubbliche locali e centrali (è questa l’opinione del 28,3% degli intervistati).

Minore peso hanno per gli imprenditori aspetti quali la scarsa trasparenza dell’azione e delle procedure adottate dagli uffici pubblici (segnalata solo dall’8,2% degli intervistati), la scarsa capacità di vedute della Pubblica Amministrazione (8,4%), normative inadeguate a dirigere i processi di viluppo economico del territorio (9,3%).

Il clima di scontentezza non cambia, anzi forse si accentua, se si passa al sistema del commercio. Secondo un’indagine realizzata dall’Istat nel 2005 su un campione di aziende di nuova costituzione (nate nel 2002), il fattore più diffusamente indicato dai titolari dell’impresa come un ostacolo allo sviluppo dell’attività commerciale riguarda l’adempimento degli oneri fiscali (fig. 3).

 

 

 

Fig. 1 -   Imprenditori che ritengono che la P.A. abbia pregiudicato l’attività dell’impresa (val. %)

 

 

Fonte: Indagine Censis-Confcommercio, 2006

 

 

 

 

 

Fig. 2 -   Fattori critici della P.A. secondo l’opinione degli imprenditori (val. %)

Il totale non è uguale a 100 poiché erano possibili più risposte.

Fonte: indagine Censis-Confcommercio, 2006

 

 

 

Fig. 3 -   Fattori che ostacolano lo sviluppo dell’attività commerciale, 2005 (val. %)

Fonte: elaborazione Censis-Confcommercio, 2006

 

 

 

 

 

I NOVE OSTACOLI

 

1.         L’“impresa� di avviare un’impresa: in Italia costa 17 volte più del Regno Unito e 11 volte più della Francia

Per costituire una nuova impresa in forma societaria in Italia è necessario espletare 9 diversi adempimenti amministrativi e fiscali iniziali[1], con un impiego di tempo di almeno 13 giornate e un costo complessivo di circa 3.600 euro. Ciò significa che un imprenditore italiano parte già svantaggiato rispetto ai suoi principali concorrenti stranieri: i costi di start-up sono pari a 17 volte quelli di un competitor inglese (207 euro richiesti nel Regno Unito) o pari a 11 volte la spesa necessaria in Francia (mediamente 301 euro) (fig. 4).

 

 

Fig. 4 - Graduatoria dei paesi Ocse secondo i costi di avvio di una impresa, 2006 (€)

Fonte: elaborazione Censis- Confcommercio, 2006


2.         Il “cuneo� della burocrazia: le imprese del commercio pagano 8,2 miliardi di euro l’anno

Oltre al prelievo fiscale e agli oneri contributivi, le imprese italiane devono mettere in bilancio anche il “cuneo� della burocrazia. La spesa complessiva a carico del sistema produttivo per l’espletamento degli adempimenti amministrativi si può stimare in oltre 13,7 miliardi di euro nel 2005, pari a circa l’1,0% del Pil, con un costo medio per impresa di circa 11.600 euro. Le imprese del commercio, del terziario avanzato e degli altri servizi, in particolare, partecipano a tale ammontare complessivo con una quota maggioritaria, pari al 59,7% e corrispondente a quasi 8,2 miliardi di euro (tab. 1).

 



Tab. 1 -      Stima dei costi sostenuti dalle imprese per l’espletamento degli adempimenti amministrativi, 2005

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Costi

esterni

(milioni €)

Costi interni

Costi

totali

(milioni €)

Costi

totali

per impresa (€)

 

Giornate/

uomo  (migliaia)

Costi

interni (milioni €)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Commercio

1.322,6

11.675

1.438,7

2.761,3

10.063

Terziario avanzato

780,1

8.002

1.487,7

2.267,8

15.310

Altri servizi

1.513,6

11.704

1.648,9

3.162,5

11.065

Totale commercio/servizi

3.616,3

31.381

4.575,3

8.191,6

           -

 

 

 

 

 

 

Totale sistema produttivo

6.246,2

57.510

7.467,5

13.713,7

11.615

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Fonte: elaborazione Censis-Confcommercio, 2006

 

 

3.         Penultimi in Europa per licenze e concessioni

Sviluppare una impresa commerciale non è meno difficoltoso della fase di avvio, a causa delle lungaggini burocratiche e dei costi imputabili a norme, regolamenti e prescrizioni da osservare. Ad esempio, per ottenere le autorizzazioni necessarie per la costruzione di un immobile da destinare a uso magazzino (17 pratiche nell’insieme) in Italia occorrono mediamente 284 giorni (solo 69 giorni negli Stati Uniti), con un costo medio di oltre 34.000 euro (il triplo rispetto alla Spagna).

 

 

4.         Servono 8 passaggi burocratici per registrare una proprietà (il doppio rispetto agli altri paesi industrializzati)

Anche il numero di procedure legali richieste per la registrazione di una proprietà (ad esempio, un terreno o un fabbricato necessari all’imprenditore per la sua attività economica) risulta doppio in Italia rispetto al valore medio riferito ai paesi Ocse, con 8 successivi passaggi burocratici.

 

5.         Fino al 76% dei profitti dell’impresa assorbito da tasse e balzelli

Per pagare imposte e contributi (15 diversi versamenti nel corso dell’anno, tra imposte nazionali e tasse locali[2]) il titolare di una impresa italiana perde complessivamente 360 ore (203 ore la media Ocse). Per pagare le tasse le imprese impiegano il triplo di ore che in Germania, Inghilterra e Francia. Ancora più significativo è il distacco ravvisabile tra il nostro paese e i nostri maggiori competitor per quanto riguarda l’incidenza totale di tasse, imposte e contributi rispetto ai profitti commerciali dell’impresa. Secondo i calcoli della Banca Mondiale, l’ammontare complessivo del prelievo può arrivare a pesare per il 76% degli utili realizzati dall’impresa, rispetto al 47,8% medio dei paesi Ocse e al 25,8% dell’Irlanda, ad esempio (fig. 5).

 

Fig. 5 -      Graduatoria dei paesi Ocse secondo l’incidenza complessiva di imposte e contributi rispetto ai profitti dell’impresa, 2006 (val. %)

 

Fonte: elaborazione Censis-Confcommercio, 2006

6.         Il fardello dell’inefficienza del sistema giudiziario: 1.210 giorni per far rispettare un contratto commerciale

L’inefficienza del sistema giudiziario italiano pesa sulle imprese come un macigno. Per far rispettare i termini di un contratto commerciale in giudizio nel nostro paese sono necessari 40 passaggi legali-amministrativi e ben 1.210 giorni prima di giungere a una sentenza ingiuntiva e risolvere la disputa: nel Regno Unito occorrono mediamente 229 giorni, 300 negli Stati Uniti, 331 in Francia (fig. 6). Più in generale, la situazione italiana è particolarmente grave per quanto riguarda i tempi di attesa per la risoluzione giudiziaria di una controversia civile legata alle attività economiche. Le cause in materia di lavoro e di previdenza e assistenza hanno una durata media complessiva di 898 giorni per il primo grado e di 911 giorni per il grado di appello (nell’insieme, si tratta di aspettare 4 anni, 11 mesi e 9 giorni per i primi due gradi di giudizio).

 

Fig. 6 - Graduatoria dei paesi Ocse secondo la durata delle azioni legali di tutela dei contratti commerciali, 2006 (giorni)

Fonte: elaborazione Censis-Confcommercio, 2006

 

7.         I procedimenti fallimentari: molto costosi, poco efficaci

Le procedure fallimentari in Italia sono tra le più lunghe e farraginose tra i paesi Ocse. Per giungere alla chiusura di una bancarotta, il costo del procedimento rappresenta il 22% del patrimonio della società insolvente (7,1% la media dei paesi Ocse). Bassissimo è poi il tasso del credito che si riesce a recuperare: mediamente solo il 39,7% del credito contro l’85,2% del Regno Unito, ad esempio, o il 92,7% per il Giappone. La durata media della procedura di chiusura del fallimento in Italia è di 2.897 giorni, come dire poco meno di 8 anni prima di poter riscuotere un credito attraverso le vie legali.

 

8.         La bolletta più salata in Europa per l’approvvigionamento di energia per le imprese

Le imprese italiane pagano anche la bolletta più cara in Europa per l’approvvigionamento di fattori primari di produzione come l’energia. Il prezzo del gasolio per autotrazione, ad esempio, è il più caro tra i paesi dell’Unione europea dopo il Regno Unito. Dei 1.117 euro per mille litri di gasolio, però, ben il 54% è dovuto per accise e Iva. Se si confrontano poi i prezzi dell’energia elettrica per usi industriali si scopre che le imprese italiane devono pagare un sovraprezzo dovuto alla fiscalità pari al 276% di quanto mediamente pagano per le imposte le altre imprese europee.

 

9.         Zavorre burocratiche anche sul commercio internazionale 

A causa degli oneri burocratici e dei relativi costi, anche le procedure di commercio internazionale rendono le nostre imprese meno competitive sui mercati internazionali rispetto ai concorrenti stranieri. Se le procedure di import-export in Italia richiedono complessivamente 24 documenti ufficiali, rilasciati mediamente in 36 giorni, sono 8 i documenti necessari in Germania, 9 in Francia, Spagna e Inghilterra. La zavorra sulla capacità di competere delle imprese italiane vocate all’esportazione è misurabile anche in relazione ai costi del commercio internazionale: 1.253 dollari per espletare tutte le procedure necessarie per esportare un container di prodotti, contro un valore medio riferito ai paesi Ocse di 811 dollari.

 

 

NOTA SU FIGURE E TABELLE

 

Per le elaborazioni Censis-Confcommercio sono state utilizzate le seguenti fonti:

-         Eurostat

-         Istat

-         Ministero Sviluppo Economico

-         Unioncamere

-         World Bank.

 


[1]     Atto costitutivo e statuto presso un notaio, deposito del capitale sociale, richiesta di libri e registri contabili, versamento della tassa forfettaria annuale per la vidimazione delle scritture contabili, iscrizione al Registro delle imprese presso la locale Camera di commercio, apertura partita Iva e attribuzione codice fiscale, iscrizione all’Inps, iscrizione all’Inail, notificazione alla Direzione provinciale del lavoro.

[2]     Iva, Ires, Irap, contributi previdenziali, diritto annuale Camera di commercio, tassa fissa sui registri fiscali, Ici, tassa rifiuti e contributo provinciale ambientale, tassa rendite finanziarie, tassa sulle insegne pubblicitarie, ecc.

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