Taglio rimborsi accise su gasolio per autotrasporto: vero e proprio "autogol", a rischio 380 mln di introiti per lo Stato

Taglio rimborsi accise su gasolio per autotrasporto: vero e proprio "autogol", a rischio 380 mln di introiti per lo Stato

La misura, prevista nella Legge di Stabilità, penalizza ulteriormente un settore che, tra imposte, costo del lavoro e inadeguatezze infrastrutturali, risulta meno competitivo rispetto agli altri paesi europei. In 2 anni scomparse 12.000 imprese dei trasporti e della logistica

La riduzione dei rimborsi agli autotrasportatori per le accise sul gasolio e per i pedaggi autostradali prevista dalla Legge di Stabilità è una misura che, oltre a ridimensionare i 330 milioni previsti dallo stesso provvedimento per interventi a sostegno dell'autotrasporto, configurandosi pertanto come una vera e propria partita di giro, rischia di far perdere allo Stato oltre 380 milioni di euro di introiti fiscali. Questo per il mancato incasso di Iva e accise sui rifornimenti di carburante che gli autotrasportatori italiani sarebbero incentivati ad effettuare nei più convenienti Paesi esteri. L'eliminazione di tale beneficio, dunque, non solo penalizza l'intera economia ma comporta anche un danno per il settore dell'autotrasporto che, pur generando il 6% del Pil nazionale, già soffre di un notevole gap di competitività rispetto agli altri Paesi europei. Alcuni dati, in sintesi, danno l'esatta dimensione di tale divario: tra il 2010 e il 2011 i traffici internazionali svolti dalle imprese di autotrasporto italiane si sono quasi dimezzati (-42%); nel 2012, il costo per chilometro delle nostre imprese di trasporto, a causa soprattutto dell'elevato livello di imposte, assicurazioni, costo del lavoro, costo del carburante, risulta superiore a quello di tutti i principali Paesi europei, arrivando fino al 78% in più rispetto alla Romania; una "concorrenza", quella dei Paesi dell'Est, che si manifesta anche sul versante del costo del lavoro considerando che, rispetto ad un'impresa italiana, il costo annuo di un conducente in questi Paesi è inferiore di oltre la metà (Polonia il 53,5% in meno, Romania 57%); ma ritardi si registrano anche nel settore portuale dove inefficienze logistiche e lentezze burocratiche e procedurali fanno sì che, in Italia, per esportare un container occorrono mediamente 19 giorni contro i 7 necessari in Germania e Regno Unito; a tutto questo vanno aggiunte una serie di ulteriori penalizzazioni che, sommandosi ai noti ritardi e inefficienze infrastrutturali del nostro Paese e al perdurare della crisi, rendono sempre più difficile la sopravvivenza delle imprese dei trasporti e della logistica il cui stock complessivo, dal 2012 ad oggi, si è ridotto di quasi 12.000 unità.

Questi, in sintesi, i risultati di un'analisi di Confcommercio sull'impatto della Legge di Stabilità e delle inefficienze strutturali sul settore dell'autotrasporto. Il documento completo, contenente anche la "fotografia" di ulteriori forme di penalizzazione per le imprese del trasporto e della logistica, è disponibile su confcommercio.it.

I riflessi economici della crisi sul settore dei trasporti e della logistica

Il comparto trasporti e logistica, come il resto del tessuto imprenditoriale del nostro paese, ha mostrato, negli ultimi anni, crescenti difficoltà determinate dall'avanzamento della crisi economica che ha prodotto pesanti effetti sul settore.

Difficoltà che si sono concretizzate, in primo luogo, nella capacità di rimanere in vita delle imprese operanti nel comparto come, peraltro, risulta anche dai dati sulle iscrizioni e cessazioni di imprese presso le Camere di Commercio.

Un dato (tab. 1) da evidenziare in tale proposito è il saldo persistentemente negativo tra il numero delle nuove imprese ed il numero di quelle che escono dal mercato: questo secondo valore supera il primo di ben 6.881 operatori nel 2012, e rimane negativo anche nei primi nove mesi del 2013, quando si attesta a -5.101 operatori. Oltre al dato negativo, è rilevante sottolineare l'accelerazione con cui il saldo di mortalità netta registra valori sempre più preoccupanti.

Tab. 1 – Nati-mortalità delle imprese del settore trasporti e logistica

  2012 2013 gen-sett
 

Iscritte

Cessate*

Saldo

Iscritte

Cessate*

Saldo

Trasporti e logistica

5.176

12.057

-6.881

2.651

7.752

-5.101

Trasporto terrestre

2.627

7.760

-5.133

1.602

5.815

-4.213

Logistica

1.184

1.924

-740

774

1.454

-680

*Le cessazioni comprendono anche quelle d'ufficio.
Fonte: elaborazione Ufficio Studi Confcommercio su dati Movimprese.

Questi dati assumono una maggiore rilevanza alla luce del valore aggiunto realizzato dal settore trasporti e logistica, 84,6 miliardi in valore assoluto nel 2012, pari al 6% della ricchezza complessiva del Paese. Un valore che rende questo settore un pilastro della nostra economia su cui puntare per incrementare la competitività del sistema. Competitività che potrebbe essere messa seriamente in pericolo qualora gli sforzi degli operatori di trasporti e logistica non venissero ricompensati, ma anzi vanificati da previsioni di legge che, qualora confermate, accrescerebbero i costi sostenuti dagli operatori italiani. Pensiamo alla riduzione dei rimborsi riconosciuti agli autotrasportatori per le accise sul gasolio, improvvidamente prevista nel disegno di legge di stabilità: una misura che potrebbe comportare una perdita di competitività per l'economia del paese, rendendo più conveniente, per gli autotrasportatori italiani attivi su scala internazionale, rifornirsi all'estero piuttosto che in Italia, determinando una riduzione negli incassi da Iva e da accise per le stesse casse dello Stato.

La legge di stabilità e la questione delle accise

Aldilà, infatti, dei 330 milioni di risorse che il Ddl intende destinare ad interventi di sostegno al settore, nelle pieghe del provvedimento, all'interno di due tabelline allegate, si prevedono tagli ai rimborsi delle accise sul gasolio e alle riduzioni compensate dei pedaggi autostradali quasi di pari importo. Cosa che, peraltro, costituisce il principale motivo della mobilitazione in corso dell'autotrasporto.

Considerando che l'Italia è al secondo posto nel mondo, dopo la Norvegia, per il costo del gasolio, è evidente che, con serbatoi della capacità di 1.500 litri, le possibilità di effettuare rifornimento presso più convenienti distributori esteri sono estremamente elevate, massime, poi, per quei veicoli che sono impiegati sulle tratte internazionali.

A fronte, dunque, di un piccolo risparmio in termini di minori rimborsi delle accise, le casse dello Stato rischiano di perdere ben maggiori importi, in conseguenza della "delocalizzazione dei rifornimenti", se su 1,659 euro di costo totale del gasolio alla pompa ben 0,916 sono di competenza del fisco tra IVA e Accise.

In base ai dati dell'Istat sui traffici internazionali operati da vettori nazionali nel 2011, pari a 15.143 milioni di tonn/Km, e ai dati del Piano della Logistica e del Comitato centrale dell'Autotrasporto sul carico medio e consumi medi dei veicoli, si stima che la quantità di gasolio utilizzato per tale traffico ammonti a circa 416 milioni di litri.

Nel mese di ottobre 2013 il costo del gasolio alla pompa valeva 0,299 euro di IVA e 0,617 euro di accise per litro. Pertanto il valore totale degli introiti dello Stato per questo segmento di traffico ammonta a circa 382 milioni di euro. Questo, dunque, l'ordine di grandezza di quanto lo Stato rischia concretamente di perdere se eliminerà le agevolazioni sulle accise sul gasolio, inducendo, nella migliore delle ipotesi, almeno i trasportatori impegnati in traffici internazionali a fare rifornimento nei più convenienti Paesi esteri.

In generale, è idea condivisa da istituzioni internazionali, operatori del settore nonché da economisti che la tassazione sui fattori di produzione sia altamente sconsigliabile. Aumentare i costi degli input intermedi – quali i carburanti – che rappresentano un voce decisiva del conto economico delle imprese di trasporto, mette a rischio investimenti e occupazione di un settore strategico per moltissime filiere produttive. Insomma, proprio l'ultima cosa da fare.

Con un'ulteriore aggravante legata alla peculiarità del settore: l'estrema mobilità dei fattori di produzione.

Le flotte dei camion sono "impianti produttivi con le ruote", che, grazie ai provvedimenti di liberalizzazione europea possono, infatti, essere rapidamente spostati, laddove le condizioni operative sono più convenienti per fare impresa.

Rifornimenti di gasolio in primis, ma anche sedi aziendali e forza lavoro prendono, sempre più la via della delocalizzazione, con conseguenze per le casse e la competitività del Paese assolutamente dirompenti.

Un dato allarmante da questo punto di vista ci viene fornito dall'indagine dell'Istat sul trasporto merci su strada: nel passaggio dal 2010 al 2011 i traffici internazionali (quelli completamente aperti alla concorrenza estera) svolti dalle imprese di autotrasporto nazionale si sono sostanzialmente dimezzati (-42%), con circa 15.100 tonnellate-chilometro a fronte di 26.500 dell'anno precedente.

Non soltanto, entrate per lo Stato che si perdono, ma un intero comparto che sparisce sotto la pressione della crisi e della concorrenza estera.

L'impatto delle inefficienze del sistema nazionale dei trasporti e della logistica sulla competitività delle imprese nazionali di autotrasporto

Un'indagine del Comitato centrale dell'Albo degli Autotrasportatori nel 2012 ha messo in evidenza gli impatti negativi delle inefficienze del sistema nazionale dei trasporti e della logistica sulla competitività delle imprese nazionali di autotrasporto.

In particolare, per effetto di livelli particolarmente elevati di alcune voci di costo, (imposte, assicurazioni, carburante, costo del lavoro) e delle più basse velocità commerciali per le imprese italiane è stato stimato un costo chilometrico medio di 1,579 € a fronte di 1,455 per quelle austriache, 1,407 per quelle francesi, 1,425 per quelle tedesche, 1,047 per quelle polacche, 1,227 per quelle slovene, 1,206 per quelle spagnole, 1,089 per quelle ungheresi e 0,887 per quelle rumene.

Molto netti sono risultati, dunque, i differenziali tra le imprese della vecchia e della nuova "Europa", spinti prevalentemente da differenze sul fronte del costo dei carburanti e dei conducenti.

Il valore italiano è risultato, pertanto, superiore dell'11%-12% rispetto ai costi stimati per la Germania e la Francia, che rappresentano i Paesi con cui è più significativo il raffronto ai fini della competitività delle nostre offerte in ambito europeo; ha superato del 9% e del 29% rispettivamente quelli dell'Austria e della Slovenia, che rappresentano alternative più immediate alle nostre offerte soprattutto verso i Paesi dell'Est; ha superato del 42% il costo medio di Ungheria e Polonia, che sono i Paesi di quella parte dell'Europa di maggiore dimensione produttiva; e, infine, è risultato superiore di circa il 78% rispetto alla Romania, Paese con il costo minore tra quelli considerati.

Se ci si sofferma, in particolare, sul costo del lavoro, è impressionante la penalizzazione sofferta dalle imprese italiane e da quelle dei Paesi della "vecchia" Europa, rispetto ai nuovi Paesi partners: fatto cento il costo annuale di un conducente in Italia, quello per un'impresa in Germania è pari a 93, quello per un'impresa in Austria 99,2, in Francia 110, in Spagna 79,3, tutti significativamente più alti dei valori di Slovenia (71,2), Ungheria (54,9), Polonia (46,5), e Romania (43). Facile, comprendere, dunque come a tali condizioni competitive, scenari proposti in Europa di ulteriore liberalizzazione dei servizi di autotrasporto, attività che per natura possono essere facilmente riallocate sul territorio in funzione delle più favorevoli condizioni di contesto, rischiano di comportare per la "Vecchia Europa" deleteri scenari di desertificazione del settore assolutamente da scongiurare.

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