Billè: "Una Finanziaria scritta sulla sabbia"

Billè: "Una Finanziaria scritta sulla sabbia"

Audizione del presidente di Confcommercio alla Commissione Bilancio di Camera e Senato. "La crisi Fiat riduce ancora la possibilità di ripresa dell'economia".INCONTRO CONFCOMMERCIO-ANCI

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11 ottobre 2002
Legge finanziaria

Billè: “Giudizio sospeso sulla Finanziaria”

 

“Il nostro giudizio sui contenuti, sulla portata e quindi sugli effetti che questa legge finanziaria potrà produrre ai fini del rilancio del nostro sistema economico, le cui difficoltà appaiono ormai fin troppo evidenti, non può che essere assai prudente, direi sospeso”. Con queste parole, il presidente di Confcommercio Sergio Billè ha cominciato la sua audizione sulla Finanziaria 2003 alla Commissione Bilancio della Camera. Per Billè dunque, il giudizio sulla manovra resta “sospeso” per almeno tre ordini di motivi.

“Questa manovra presuppone, per il 2003, - ha detto Billè - indici di crescita della nostra economia che, per il momento, non hanno alcun attendibile riscontro e, per questo, rischiano di essere scritti sulla sabbia. Mentre, infatti, si sta prolungando oltre ogni più pessimistica previsione la crisi dell’economia americana, è assai poco probabile che i paesi dell’area Ue, in primo luogo la Germania, possano uscire, entro tempi relativamente brevi, dalla fase di pesante stagnazione che oggi caratterizza le loro economie. E, in più, pesano i conti e tutti i possibili riflessi di una guerra con l’Irak che, allo stato delle cose, non appare affatto da escludere”. Poi, secondo il presidente di Confcommercio, “questa perdurante crisi di carattere internazionale, che va a sommarsi e a sovrapporsi a quella endogena e di carattere in gran parte strutturale di cui soffre da tempo il nostro sistema, fa ritenere che difficilmente questo 2002 si chiuderà con un tasso di sviluppo superiore allo 0,4%, inferiore quindi a quello indicato dal Dpef e su cui ha fatto perno questa finanziaria”. “E non è affatto da escludere – ha proseguito -che l’effetto domino, che sicuramente, anche nel breve periodo, provocherà la crisi esplosa alla Fiat, peggiori ulteriormente conti e previsioni. Partendo da queste premesse è assai difficile, quindi, che il tasso di crescita indicato da questa finanziaria per il 2003 possa davvero raggiungere il 2,3%”. Secondo Billè, infatti, “per conseguire un simile risultato, in presenza di un’economia che continua ad avere vetri più che appannati e un motore al minimo dei giri, ci vorrebbe un vero e proprio salto con l’asta per eseguire il quale però, allo stato, sembrano mancare tutti i presupposti. E credo che aggiungere un altro paniere di illusioni a quello che si era tentato già di creare all’inizio di quest’anno sulle possibilità di crescita del nostro prodotto interno lordo - un +2,3% che, alla fine di quest’anno, si è invece ridotto fino a scivolare ad un +0,4% - non serva a nessuno, tanto meno a chi ha il governo dell’economia”. “A gettare luce su una situazione che si presenta oltremodo difficile – ha rilevato Billè - credo che basti il dato sul fabbisogno di cassa che, nei primi nove mesi di quest’anno, ha raggiunto la colossale cifra di 40,9 miliardi di euro con un aumento, rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, di 11 miliardi di euro. Se questa è la situazione, risulta davvero poco credibile l’ipotesi che, già alla fine di quest’anno, cioè in soli tre mesi, questo fabbisogno possa di colpo ridursi a 32,6 miliardi di euro e possa non superare la soglia di 36 miliardi di euro, come appunto sostiene questa finanziaria, nel 2003. Anche perché, come dimostrano i dati della Banca d’Italia, le entrare erariali dello Stato continuano a diminuire a fronte di una crescita della spesa corrente che resta di difficile contenimento”. “Ecco perché riteniamo – ha detto il presidente di Confcommercio - che questa manovra, a meno che non cambino davvero all’improvviso, ma tutti gli indici sono per ora di segno contrario, tutte le condizioni del quadro internazionale, potrà forse tenere la nostra economia su una linea di galleggiamento, ma non certo gettare le basi per un sostanziale e vigoroso rilancio di tutto il sistema economico”.

Il terzo motivo che induce il presidente Billè a sospendere il giudizio sulla finanziaria è che “pur introducendo alcuni apprezzabili correttivi volti al contenimento della spesa corrente della Pubblica amministrazione, correttivi che però hanno bisogno di riscontro sui fatti e sappiamo bene quanto sia difficile fare operazioni in questa direzione, non risolve né i problemi strutturali di cui soffre oggi tutto il sistema della finanza pubblica, né quelli ancora più pressanti e di nuovo conio della finanza locale”. “Questi ultimi, infatti, - ha proseguito Billè - rischiano di accentuarsi in misura notevole soprattutto a causa di una riforma federalista rimasta paralizzata a metà del guado perché se, da un lato, sono stati già trasferiti agli enti locali poteri e competenze in settori vitali, sanità e altro, della gestione pubblica, dall’altro, non si è provveduto a trasferire a Regioni e Comuni tutte le risorse necessarie per far fronte a queste importanti incombenze. E, da questo punto di vista, questa legge finanziaria non solo elude la sostanza del problema ma non assume le precauzioni necessarie per evitare, da qui a poco, una sua drammatica implosione. Il rischio, infatti, è, e si sta già toccando con mano, che gli enti locali, soprattutto quelli che si trovano in condizioni disastrose di bilancio, cerchino di recuperare risorse aumentando oltre misura i costi dei servizi e le imposte di loro competenza”. Una situazione questa che, per il presidente di Confcommercio, porterà a scaricare buona parte degli oneri derivanti dall’attuazione di questa riforma sulle spalle delle famiglie e delle imprese con conseguenti e rilevanti danni per tutto il sistema produttivo. “Mettere la sordina, come qualcuno sta tentando di fare, alla questione federalista nella speranza che questo problema possa risolversi da solo ci sembra un imperdonabile errore”. Fatte queste premesse, il presidente Billè ha iniziato a parlare degli aspetti più rilevanti della manovra. “La riduzione dell’Irpef per le famiglie di più basso reddito, pur pienamente condivisibile anche per le motivazioni di carattere sociale che l’hanno ispirata – ha detto il presidente di Confcommercio - non risolve affatto il problema del rilancio dei consumi, problema che oggi ha raggiunto una dimensione a dir poco preoccupante. I nuclei familiari che potranno, infatti, beneficiare di questi sgravi, pur avendo una propensione al consumo superiore all’80%, incidono solo per il 50% sul totale dei consumi. Ciò significa che l’impatto macroeconomico di questa manovra fiscale sarà, sotto il profilo dei consumi e dell’aumento del Pil, quasi insignificante, appena qualche decimo di punto. Anche perché è più che verosimile che queste nuove risorse serviranno a queste famiglie soprattutto a recuperare quell’erosione sui redditi provocata, nel corso del 2002, dal generalizzato aumento del costo dei servizi e delle tariffe. E’, dall’altra parte, presumibile che il tasso di impoverimento prodotto dal disastroso andamento dei mercati azionari, spingerà le famiglie non a consumare di più ma a cercare di mettere qualcosa sotto il mattone. La verità è che fino a quando la riforma fiscale non raggiungerà anche quelle fasce di reddito che vanno da 25 a 40 mila euro e che, da sole, producono oggi più del 70% dei consumi, il mercato non potrà decollare. E se non decolleranno i consumi, la produzione di ricchezza non potrà raggiungere quei traguardi che questa finanziaria intende perseguire e che, per ora, restano a mezz’aria”.

Secondo Billè, dunque, due sono le cose che “con il concorso del Parlamento”, vanno subito messe in cantiere. “Misure congiunturali che spingano all’acquisto soprattutto di beni durevoli, un settore oggi fortemente in crisi. Sappiamo che il governo sta affrontando questo problema e ci auguriamo che possa giungere al più presto all’individuazione di meccanismi e di strumenti che, a questo scopo, possano essere di sicura efficacia”. In secondo luogo, “far capire alla famiglia media italiana che presto, per quanto riguarda la riforma fiscale, verrà anche il loro turno. Le aspettative di fiducia, decollate l’anno scorso a seguito dell’annuncio da parte del governo di una riforma fiscale da realizzare a tempi rapidi, sono ora ridotte a zero. Bisogna ricreare queste aspettative dando certezze e scadenze precise, oggi non ve ne è alcuna, sia sull’attuazione della seconda e più significativa parte della riforma sia sulla sua portata. E di questo problema dovrebbe farsi carico ora anche il Parlamento”.

“Gli interventi decisi dalla finanziaria sul versante dell’Irpeg che su quello dell’Irap ha poi sottolineato Billè - vanno nella giusta direzione anche se persistono meccanismi di imposta che restano assai sperequativi per le piccole imprese. Non si vede, infatti, la ragione per la quale il sistema delle Pmi, che pure rappresenta oggi circa il 90% dell’intero sistema imprenditoriale, debba essere sottoposto a regimi fiscali che, allo stato delle cose, sono due, tre anche cinque volte superiori a quelli di cui oggi può godere la grande impresa. Non c’è paese dell’area Ue che tenga in vita simili sperequazioni e se una riforma va fatta, e sarà una riforma copernicana, è proprio quella di fare in modo che, di fronte al fisco, tutte le imprese siano eguali pagando in proporzione ai propri redditi”. “La decisione del governo di rimodulare finalmente quei regimi fiscali di assoluto favore per la grande impresa che vanno sotto il nome di Dit e Superdit – ha detto Billè - è già un passo in questa direzione, ma non ci sembra sufficiente per almeno due buoni motivi”. “Il primo è che gli incentivi fiscali, soprattutto in presenza di un assetto economico disastrato qual è oggi il nostro, andrebbero dati soprattutto a quelle aziende che hanno dimostrato, nei fatti, di produrre nuova occupazione. Fino ad ora è accaduto il contrario perché se più del 70% dei nuovi occupati sono stati prodotti dalle imprese che operano nell’area della distribuzione e dei servizi, la maggior parte dei benefici fiscali sono andati, invece, a quelle aziende che, non solo non hanno prodotto più occupati, ma che hanno utilizzato queste risorse per operare pesanti ristrutturazioni. E, da questo punto di vista, il caso Fiat mi sembra eclatante: per anni l’impresa torinese ha goduto di trattamento fiscale di indubbio favore e di incentivi di ogni genere che forse sono serviti ad allungare i tempi della crisi ma, come dimostrano i fatti di queste ore, non certo a risolverla. Con un altro esempio, altrettanto eclatante, proprio di questi giorni. Il governo ha deciso di accollare all’Inps la gestione dell’Inpdai, l’istituto di previdenza a cui aderiscono 82 mila dirigenti industriali. E’ questa una decisione davvero inaccettabile perché non si vede il motivo per cui la comunità debba essere costretta ad accollarsi un disavanzo di esercizio di circa un miliardo di euro l’anno e un deficit patrimoniale che, nel 2013, supererà i 7 miliardi e mezzo di euro. Questo vuol dire che, dietro la facciata, i giochi continuano ad essere quelli di prima: si toglie la Dit ma si tolgono contemporaneamente alle imprese gli oneri dell’Inpdai, conto quasi pari. Un’enormità”.

“Il secondo – ha proseguito il presidente di Confcommercio - attinente sempre allo stesso tema, riguarda il Mezzogiorno. Il mezzo milione di miliardi delle vecchie lire, che in tutti questi anni è stato erogato dallo Stato per il rilancio economico delle aree meridionali, non ha risolto alcun problema. E questo perché queste erogazioni sono prevalentemente finite o nelle tasche di imbelli e improduttive amministrazioni pubbliche o di imprenditori che tutto hanno fatto meno che costruire un sistema industriale che avesse salde radici. Sarebbe bene che, proprio nel contesto dell’esame di questa finanziaria, il Parlamento affrontasse seriamente questo problema e cercasse di individuare, insieme con il governo, soluzioni vere e cioè di stampo nuove. E’ giusto, da questo punto di vista, che si sia creata una cabina di regia che decida a chi vanno queste erogazioni e a che cosa debbano servire. Da questo punto di vista anche i sindacati dovrebbero recitare il loro mea culpa perché, per anni e forse ancora oggi, continuano ad avallare un sistema di investimenti che non ha portato a nulla. Infatti, il gap occupazionale Nord-Sud si è persino aggravato e, sul fronte delle infrastrutture e su quello industriale, è stata costruita un'economia di carta. Gli obbiettivi dovrebbero essere diversi e ci auguriamo che a questi obbiettivi punti ora il governo. Il primo è fare in modo che gli investimenti pubblici vadano a buon fine e non, come accaduto fino ad oggi, si disperdano non si sa dove e perché. Il secondo è realizzare un programma di incentivi che consenta alle aziende che, ad esempio, operano nel settore del turismo di attrezzarsi per offrire un prodotto che sia più competitivo di quello attuale. E’ quel che, in questi anni, ha fatto la Spagna con risultati più che lusinghieri. Noi abbiamo costruito stabilimenti che sono costati allo Stato un miliardo di lire per ogni unità di lavoro e che ora, per i motivi che sappiamo, sono costretti addirittura a chiudere i battenti”.

Il presidente Billè ha quindi concluso il suo intervento davanti alla Commissione Bilancio della Camera facendo alcune considerazioni finali. “Nessuno nega il fatto che le difficoltà della nostra economia derivano in buona parte da una crisi internazionale che si è rivelata più grave del previsto. Ma, proprio perché non sembrano esserci schiarite all’orizzonte sul fronte dell’economia mondiale, occorre lavorare di buona lena per evitare che il nostro sistema, che oggi galleggia, finisca sott’acqua. E allora non resta che puntare a tagli veri e strutturali della spesa e al rilancio dei consumi”. Infine, Billè ha posto l’accento sulla necessità di “trovare il modo di salvare il salvabile cercando prima di tutto di attenuare quelle tensioni sociali che, se in presenza di un buon andamento dell’economia potevano anche essere condivisibili perché avevano l’intento di accelerare il processo di riforma del sistema, oggi, in una fase ormai vicina alla recessione, possono diventare un pericoloso, ulteriore, inutile boomerang. Meglio tornare alla concertazione e almeno tentare di rimettere tutti sulla stessa barca in modo che ciascuno si assuma oggi la sua fetta di responsabilità”.

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