I costi della rappresentanza politica in italia: un "conto" da 350 euro a famiglia all'anno

I costi della rappresentanza politica in italia: un "conto" da 350 euro a famiglia all'anno

Con un terzo di rappresentanti in meno, possibile ridurre l'Irpef di quasi l'1%216/2011
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Roma, 29.10.2011

 

 

Con un terzo di rappresentanti in meno, possibile ridurre l’Irpef di quasi l’1%

 

I COSTI DELLA RAPPRESENTANZA POLITICA IN ITALIA:

UN “CONTO” DA 350 EURO A FAMIGLIA ALL’ANNO

 

 

La scarsa efficienza dell’apparato pubblico unita all’eccessivo livello di spesa pubblica (oltre il 50% del Pil) rendono indispensabile agire anche su questo fronte per ridurre la pressione fiscale su famiglie e imprese. In particolare, una possibile azione di contenimento della spesa pubblica potrebbe partire dai costi della rappresentanza politica – ovvero quelli che i cittadini complessivamente sostengono per eleggere e far funzionare l’insieme degli organismi legislativi nazionali e decentrati - che, nel nostro Paese, ammontano ad oltre 9 miliardi di euro l’anno, corrispondenti a poco più di 350 euro per nucleo familiare, circa 150 euro a testa. Applicando ai circa 154 mila rappresentanti politici dei vari organi collegiali nazionali e locali l’ipotesi - più volte ventilata e condivisa da più parti - della riduzione di poco più di un terzo del numero dei parlamentari si avrebbe, infatti, un risparmio di spesa di oltre 3,3 miliardi all’anno. Cifra sufficiente ad attuare una riduzione permanente di circa 8 decimi di punto della prima aliquota Irpef a beneficio di oltre 30 milioni di contribuenti o, in alternativa, ad ottenere permanentemente una somma di 2.900 euro all’anno da destinare a tutte le famiglie in condizioni di povertà assoluta. In entrambi i casi, si tratterebbe della più grande ed efficace operazione di redistribuzione mai effettuata nel nostro Paese.

Questi i principali risultati che emergono dall’analisi dell’Ufficio Studi di Confcommercio “I costi della rappresentanza politica in Italia” consultabile integralmente su www.confcommercio.it.

 

Da molti anni la spesa pubblica nel nostro Paese si mantiene stabilmente al di sopra del 50% del Pil. È un dato comune alle principali economie europee, anche esse ispirate al modello che intende contemperare esigenze del mercato e coesione sociale, ma che presenta, nel caso dell’Italia, connotazioni anomale, prime fra tutte la scarsa efficienza dell’apparato pubblico e la modesta capacità delle politiche redistributive di attenuare/ridurre le disuguaglianze dal lato dei redditi.

Una spesa eccessivamente elevata, inoltre, con notevoli rigidità imposte dalla necessità di consentire un livello minimo adeguato di prestazioni sociali, costringe al mantenimento di una pressione fiscale altrettanto elevata, volta a garantire un flusso di entrate compatibile con i livelli di spesa, stanti i vincoli del Patto di stabilità dal lato del disavanzo e, ancor di più oggi e in futuro, del debito pubblico.

Si fa dunque stringente la necessità di adottare correttivi per ridurre l’eccessivo prelievo che grava su imprese e famiglie. Ciò è possibile solo attraverso una graduale riqualificazione e progressiva riduzione della spesa pubblica.

Immaginare di scovare all’interno del bilancio pubblico una voce di spesa che comporti da sola tanti sprechi il cui risparmio permetterebbe un nuovo e più virtuoso equilibrio di bilancio è un errore o un’illusione derivante dalla scarsa conoscenza delle evidenze statistiche sulla materia. E’ per questa ragione che, ogni e qualsiasi sforzo andrà prodotto per aggiustare al ribasso la dimensione della spesa, a partire dai costi della rappresentanza politica, funzione determinante per formare la fiducia, il senso civico e le aspettative dei cittadini.

In questa direzione, effettivamente, vanno alcuni opportuni recenti provvedimenti legislativi. Sono essi stessi la testimonianza diretta che consistenti sprechi nella funzione di rappresentanza politica sono oggi realmente presenti.

 

Obiettivo del presente studio è, dunque, di valutare in modo analitico, il costo che i cittadini complessivamente sostengono per eleggere e fare funzionare la rappresentanza politica, cioè quella funzione che è pre-condizione per la presa di decisioni collettivizzate.

Una cattiva (buona) legislazione sull’immigrazione o una cattiva (buona) legge di bilancio generano sprechi (benefici) per la collettività. Senz’altro, però, questi non sono costi (o vantaggi) della rappresentanza politica. Il costo della politica nel senso che qui adottiamo è quello riguardante la predisposizione di strumenti per prendere quelle decisioni: nella democrazia rappresentativa è il costo della rappresentanza.

Nella definizione del perimetro dei costi abbiamo adottato un’impostazione restrittiva. Non consideriamo, infatti, i costi della Presidenza del Consiglio dei Ministri né degli organi costituzionali diversi da quelli direttamente elettivi, né delle giunte di Regioni ed Enti locali. Inoltre, per ragioni logiche, oltre che per l’esigenza di semplificare i conteggi, non abbiamo inserito nei costi della politica, la spesa delle Pubbliche Amministrazioni per trattamenti di quiescenza.

Per quantificare correttamente è necessario classificare. Sotto questo profilo, proponiamo una possibile tassonomia (fig. A) dei costi della rappresentanza politica, distinguendo tra costi monetari e costi non monetari. I primi si suddividono in costi diretti (di rappresentanza), cioè riferiti agli emolumenti dei rappresentanti (eletti), costi di funzionamento, comprendenti sia le remunerazioni per personale dipendente e per le collaborazioni (costi indiretti), sia gli acquisti di beni e servizi intermedi della pubblica amministrazione (costi gestionali), strumentali all’esercizio effettivo della rappresentanza politica, e altri costi.

Soltanto i costi monetari sono stati oggetto di quantificazione della presente nota.

Per la quantificazione dei costi monetari diretti, legati strettamente alla funzione di rappresentanza, abbiamo proceduto ad una verifica empirica, attraverso le norme che regolano il calcolo di indennità e rimborsi, nonché ricorrendo a fonti certificate come i bilanci consuntivi delle istituzioni, laddove disponibili. Per i costi di funzionamento, invece, non esistendo informazioni analitiche sulle spese correnti per funzione delle assemblee legislative desumibili da bilanci/rendiconti, abbiamo preferito seguire un criterio di imputazione. In pratica, sulla base di indicazioni più generali relative alla pianta organica del pubblico impiego a livello nazionale e locale, abbiamo attribuito proporzionalmente alle assemblee legislative un numero di dipendenti in funzione di staff, la cui fissazione ha poi reso possibile quantificarne il costo del lavoro e i conseguenti costi gestionali in termini di acquisti di beni e servizi strumentali all’esercizio della rappresentanza politica, partendo da un valore medio di spesa per dipendente.

 

Fig. A - Tassonomia e valutazione dei costi della rappresentanza politica

 

Fonte: Ufficio Studi Confcommercio

 

 

Nel complesso i costi monetari misurabili della rappresentanza politica, calcolati per l’anno 2009, superano i 9,1 miliardi di euro (fig. A) e quindi, considerando i quasi 25 milioni di famiglie e gli oltre 60 milioni di abitanti, i costi della rappresentanza politica valgono circa 367 euro per nucleo familiare, pari a 152 euro a testa. Stando così le cose, e immaginando una vita media di 80 anni sia per le donne che per gli uomini, e un’indicizzazione dei costi della politica pari al tasso d’inflazione a sua volta pari al tasso d’interesse nominale, al momento della nascita ogni cittadina e cittadino italiano dovrebbero considerare un debito vitale per costi della rappresentanza pari a poco più di 12mila euro (152x80). E’ questo il peso prevedibile medio per predisporre la rappresentanza politica che deciderà per nostro conto durante la nostra vita (media). Questo peso non ha nulla a che vedere con i costi della burocrazia o con i costi non monetari della stessa politica. Non include neppure i costi di decisioni avverse alle nostre preferenze e orientamenti né include i costi di mancate decisioni. E’ infatti riferito soltanto alla predisposizione degli strumenti per prendere decisioni collettivizzate e non alla quantità o alla qualità di tali decisioni.

Quasi il 77% dei costi monetari sono costituiti dalle spese di funzionamento delle strutture di supporto alle assemblee legislative nazionali e locali. All’interno di queste, le sole spese denominate indirette, corrispondenti alla remunerazione dei dipendenti pubblici che operano in funzione di staff, valgono poco meno del 47% dei costi monetari totali. I costi diretti, invece, che rappresentano il totale delle indennità di funzione e di carica corrisposte ai rappresentanti politici, pesano per oltre il 19% del totale, una proporzione largamente inferiore a quella dell’insieme dei costi gestionali (il 30,1%, sostanzialmente gli acquisti di beni e servizi utilizzati nella “funzione di produzione della politica”).

Il costo complessivo vale in termini medi poco più di 59mila euro per ciascun rappresentante eletto su base nazionale e locale (cioè 9.148,6 miliardi di euro diviso per gli oltre 154mila membri di organi collegiali). Stimando una proporzione di riduzione di eletti a qualsiasi livello pari a circa il 36,5%, valore che proviene dalla spesso ipotizzata operazione di passaggio dagli attuali 945 parlamentari a 600 rappresentanti, suddivisi in 400 deputali alla Camera e 200 senatori presso il costituendo Senato federale, si otterrebbe a regime un risparmio di oltre 3,3 miliardi di euro all’anno.

Per dare un senso a queste cifre, si può ricordare che quei circa 3,3 miliardi di risparmi consentirebbero una riduzione permanente di circa 7-8 decimi di punto della prima aliquota dell’Irpef (quella al 23%), con un beneficio generalizzato per circa 31 milioni di contribuenti capienti. In alternativa, per esempio, si disporrebbe di risorse pari a oltre 2.900 euro all’anno per ciascuna famiglia che in Italia versa in condizioni di povertà assoluta (un milione e 156mila famiglie nell’anno 2010, secondo l’ultima indagine Istat). Probabilmente la più grande ed efficace operazione di redistribuzione mirata mai effettuata in Italia. Ma probabilmente priva, ad oggi, di condizioni politiche per essere effettuata.

Allora, un’ipotesi più concretamente praticabile, potrebbe essere quella di considerare, come base per applicare un taglio del 36,5%, il totale dei costi al netto di quelli di funzionamento indiretti, realizzando un risparmio quantificabile in quasi 1,8 miliardi di euro. In altre parole, stiamo escludendo dal computo (della riduzione dei costi) tutti i costi relativi al personale dipendente (i costi di funzionamento indiretti, appunto), ipotizzando, in qualche modo, un trasferimento dei dipendenti pubblici connessi al funzionamento delle assemblee legislative ad altre funzioni. La cifra di 1,8 miliardi di euro è, comunque, ragguardevole, anche perché di carattere permanente.

Guardando a questi semplici conteggi si comprende come non sia strettamente necessario immaginare nuove tasse e nuove imposte per migliorare il tenore dei saldi di bilancio.

Si deve ribadire, poi, il legame inscindibile tra costo monetario e costo non monetario: per ogni euro di risparmio sugli sprechi della politica, una catena di “euro” vengono potenzialmente risparmiati grazie al fatto che le relazioni socio-economiche della collettività diventano più fruttuose e più dirette, grazie alla ridotta intermediazione e alla limitata invadenza della politica. La stessa politica diventa più efficace, trasparente, leggibile. La vita sociale più vivibile.

 

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