Mercato del lavoro: senza stimoli alla crescita, almeno sette anni per smaltire gli effetti della crisi

Mercato del lavoro: senza stimoli alla crescita, almeno sette anni per smaltire gli effetti della crisi

137/2011
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Roma, 18.7.2011

 

Rivolta: “Valorizzare i servizi di mercato per tornare ai livelli pre-recessione”

 

MERCATO DEL LAVORO: SENZA STIMOLI ALLA CRESCITA,

ALMENO SETTE ANNI PER SMALTIRE GLI EFFETTI DELLA CRISI

 

 

Dopo il picco raggiunto nel 2010 dai lavoratori in CIG e dagli scoraggiati, nel primo semestre del 2011 si sono manifestati i primi timidi segnali di un’inversione di tendenza con un ridimensionamento delle ore di CIG autorizzate per tutti i tipi d’intervento, anche se i livelli sono ancora nettamente superiori a quelli registrati nell’analogo periodo del 2009 sia per la CIG straordinaria sia per quella in deroga; dal punto di vista territoriale, si conferma il dualismo Nord-Sud sul versante delle dinamiche occupazionali (con il primo più reattivo e il secondo stazionario); si accentuano le criticità sul versante della disoccupazione giovanile che supera il 29%; i contratti flessibili – a tempo determinato e stagionali – soprattutto nei servizi di mercato, hanno reagito più prontamente al riassorbimento di occupazione dopo la crisi (con un incremento di oltre 60 mila occupati nel I semestre 2010 rispetto al I semestre 2009) rispetto a quelli a tempo indeterminato (-214 mila occupati nello stesso periodo); in generale, nonostante l’area dei servizi di mercato si confermi come quella che contribuisce maggiormente ad attutire i cali occupazionali nelle fasi negative del ciclo economico, con i tassi medi di incremento registrati nei primi cinque mesi del 2011 e in assenza di misure di stimolo alla crescita economica, le perdite occupazionali patite durante la recessione saranno assorbite soltanto nel 2017. Questi i principali risultati che emergono dalla sezione riguardante il mercato del lavoro dell’Osservatorio quadrimestrale “Economia, lavoro e fiscalità nel terziario di mercato” realizzato dall’Ufficio Studi Confcommercio.

 

“I dati – ha dichiarato il Direttore Generale di Confcommercio, Francesco Rivolta - evidenziano che per tornare ai livelli occupazionali pre-recessione sarà necessario valorizzare il settore dei servizi alle imprese e alle persone ed accrescerne l’efficienza. Ciò è ancora più necessario al Sud, dove gli effetti della crisi si sono sovrapposti ad una tendenza già negativa in precedenza, che ha aumentato il divario rispetto al Centro-Nord. Diviene, quindi, importante cercare di cogliere le tendenze di fondo che potranno emergere su un orizzonte temporale di medio termine anche al fine di orientare le politiche e gli investimenti. Nei prossimi anni la domanda di lavoro vedrà aumenti maggiori per le professioni qualificate; per questo, al fine di garantire un ingresso stabile ed un’adeguata formazione, dovremmo colmare il mismatch fra formazione scolastica/universitaria e le esigenze del mercato. A tale proposito – conclude Rivolta - lo strumento dell’apprendistato dovrebbe rappresentare quello più idoneo al raggiungimento dell’obiettivo anche se la riforma dell’istituto, pur avviata secondo principi condivisi tra tutti gli attori coinvolti, rischia in prospettiva di rimanere una delle tante riforme incompiute.”

 

 

Quadro generale

 

Resta oggi confermato il ruolo fondamentale dei servizi nell’attenuare le fluttuazioni negative del ciclo occupazionale, soprattutto dei servizi di mercato dove, peraltro, la quota di occupazione femminile è pari all’80%.

 

Il processo di ricostruzione di occupabilità e occupazione andrebbe guidato in termini di scelte, soprattutto in tema di rapporti tra scuola e formazione, da un lato, e mercato del lavoro dall’altro, e di transizione da lavori meno qualificati in settori tradizionali a lavori maggiormente qualificati in settori terziari e post-terziari.

Sarà molto difficile, infatti, tornare sui livelli occupazionali pre-recessione, quelli di fine 2007 inizio 2008, senza passare per una ricomposizione settoriale del valore aggiunto verso i servizi alle imprese e alle persone e senza un accrescimento dell’efficienza di tali servizi, tanto in termini di prodotto medio per occupato, quanto in termini di prodotto netto per unità di capitale investito. Ad oggi, però, non sembra di cogliere sostanziali mutamenti di indirizzo.

Infatti, l’andamento dei primi mesi del 2011 non è stato particolarmente brillante per la crescita occupazionale (fig. A). Mantenendo costante nel tempo il tasso di incremento degli occupati registrato nei primi cinque mesi dell’anno in corso, sarebbero necessari tra i 17 ed i 24 trimestri, vale a dire tra la seconda metà del 2015 e l’inizio del 2017, per ritornare sui livelli occupazionali di picco del periodo pre-recessivo, toccati nel primo trimestre 2008, con circa 23 milioni e 500mila occupati. In pratica, gli effetti della grave recessione del biennio 2008-2009, si riassorbirebbero in un periodo compreso tra i sette e i nove anni, in assenza di stimoli forti al sistema economico che accrescano il ritmo di crescita occupazionale e sempre nell’ipotesi che non si vada incontro a nuovi shock ciclici avversi.

 

Fig. A – Numero di occupati in Italia

dati mensili destagionalizzati in migliaia di unità

A.ai

Fonte: elaborazioni Ufficio Studi Confcommercio su dati Istat.

 

 

Disoccupazione potenziale, divari territoriali e disoccupazione giovanile

 

Inoltre, rimangono ancora di difficile soluzione tre questioni: la disoccupazione potenziale (tasso di disoccupazione esteso), i divari territoriali, la disoccupazione giovanile.

Il tasso di disoccupazione esteso, che comprende lavoratori in CIG e persone scoraggiate, è certamente un indicatore più completo per interpretare gli orientamenti del mercato del lavoro. Nell’ultima parte del 2010 la tendenza ad una crescita del tasso esteso, già evidenziata nel precedente Osservatorio, si è accentuata (fig. B).

La deriva negativa del 2009 si è protratta anche nel 2010, nonostante il Pil sia ritornato con il segno positivo, come dimostra l’ulteriore crescita dei disoccupati (in senso stretto e in cerca di prima occupazione) e l’assai modesta flessione dei cassaintegrati equivalenti a zero ore e degli scoraggiati, molto superiori ancora ai livelli del 2008. I lavoratori in CIG a zero ore equivalenti, erano ancora nel 2010 pari a 3,4 volte quelli del 2008.

 

Fig. B – Tasso di disoccupazione ufficiale ed esteso (comprendente CIG e scoraggiati) percentuali

2.ai

Fonte: elaborazioni Ufficio Studi Confcommercio su dati Istat e Banca d’Italia.

 

Sulla seconda questione, quella relativa ai divari territoriali nel mercato del lavoro, va sottolineata la persistenza del dualismo strutturale nelle dinamiche occupazionali tra Centro-Nord e Mezzogiorno (fig. C).

Rispetto a qualche mese fa restano valide le valutazioni sulle tendenze di medio periodo circa la stazionarietà del Mezzogiorno contro la reattività ciclica del Centro-Nord. Se, infatti, è opportuno segnalare una maggiore vivacità nel quarto trimestre 2010 dell’occupazione nelle regioni meridionali rispetto al Centro-Nord, i dati pubblicati dall'Istat il 1° luglio 2011 indicano un nuovo calo occupazionale proprio nel Mezzogiorno.


 

Fig. C - Numero di occupati per ripartizione geografica

dati destagionalizzati in migliaia di unità

 4.ai

Fonte: elaborazioni Ufficio Studi Confcommercio su dati Istat.

 

La terza problematica questione, infine, cioè quella della disoccupazione giovanile, non mostra, negli ultimi dati, segnali incoraggianti.

Restano confermate le tendenze storiche delineate: alla reattività del tasso complessivo di disoccupazione agli stimoli del ciclo economico (si è tornati su valori prossimi all’8,0%, dopo il picco massimo dell’8,6% toccato in aprile-maggio 2010) si contrappone il peggioramento del tasso calcolato per la fascia di età 15-24 anni, che nella media dei primi cinque mesi del 2011 è superiore di circa un punto percentuale rispetto a quanto registrato nell’analogo periodo del 2010.

Se ne conclude che i giovani vengono espulsi dai processi produttivi molto più massicciamente e velocemente nelle fasi negative del ciclo, incontrando notevoli difficoltà a rientrarvi nel momento in cui si inverte il ciclo negativo e si riavvia un profilo espansivo, seppur modesto. E ciò si verifica anche in presenza di un mercato del lavoro flessibilizzato da oltre un decennio.

Il ruolo della flessibilità, peraltro, è ben evidenziato dagli andamenti dell’occupazione regolare per tipo di contratto (tab. A).

 

 

Tab. A – Variazioni dell’occupazione regolare per settori e tipologia di contratto

dati in migliaia di unità

 

I sem. 2009 rispetto a I sem. 2008

I sem. 2010 rispetto a I sem. 2009

 

Tempo indet.

Determinato e stagionale

Tempo indet.

Determinato e stagionale

Industria in senso stretto

-121,8

-69,6

-173,8

-15,4

Costruzioni

-76,5

-4,6

-62,4

2,8

Servizi di mercato

63,6

-81,4

21,7

75,1

Totale industria e servizi

-134,7

-155,6

-214,4

62,4

 

Fonte: elaborazioni Ufficio Studi Confcommercio su dati Inps.

 

La componente più flessibile, quella del tempo determinato, pur pagando inizialmente il prezzo maggiore della crisi produttiva, con una flessione di quasi 156mila unità, risulta anche la più pronta a soddisfare le esigenze delle imprese in una fase di ripresa ancora incerta e fragile e, quindi, con orizzonti di breve termine sul piano della stabilizzazione del rapporto di lavoro. Di fatto, la componente a termine e stagionale ha evidenziato nel primo semestre 2010 un incremento di oltre 60mila unità rispetto al corrispondente periodo del 2009, tutto esclusivamente nei servizi di mercato, cioè un complesso di attività produttive che hanno sempre mostrato, sotto il profilo occupazionale, una maggiore tenuta nelle fasi di recessione ed una maggiore espansione nelle fasi di ripresa.

Dal punto di vista territoriale, si assiste ad un fenomeno per il quale tra il 2009 ed il 2010 il divario nel costo del lavoro per unità standard si stabilizza relativamente al totale delle attività economiche, collocandosi ad un livello per il Mezzogiorno di circa il 15% inferiore a quello del Nord-Est. Per contro, riguardo al commercio al dettaglio, il divario si amplia ulteriormente, tanto che il costo unitario del lavoro del Mezzogiorno nel settore distributivo è pari ad appena il 70% di quello del Nord-est nel 2010. L’ipotesi, ancorché preoccupante, di una sorta di selezione avversa del capitale umano impiegato nelle aree meridionali, proposta come possibile interpretazione nel precedente numero dell’Osservatorio, troverebbe, quindi una ulteriore conferma.

Se si guarda poi al costo del lavoro per qualifica professionale, emergono andamenti decisamente diversificati a seconda delle posizioni contrattuali (fig. D).

La qualifica che presenta aumenti generalizzati nel primo trimestre 2011 è quella degli operai, soprattutto nel mese di gennaio (5,5%), in cui sono stati erogati i maggiori aumenti contrattuali, una tantum e arretrati. Di contro, i dirigenti, e in misura inferiore anche i quadri, vedono peggiorare la loro situazione retributiva (con il picco di -3,5% in marzo), sintomo evidente del calo di emolumenti e contribuzioni legate alla parte variabile della retribuzione.

 


 

Fig. D - Costo del lavoro per UL per qualifica professionale

variazioni percentuali mensili dell’anno 2011 sul 2010

 10.ai

Fonte: elaborazioni ufficio studi Confcommercio sulla banca dati Confcommercio-Seac.

 

 

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