"Care" banche, lo facciamo un esame di coscienza?

"Care" banche, lo facciamo un esame di coscienza?

Nell'ultimo anno il costo dei servizi bancari è salito del 7,4%, mentre il tasso attivo per i prestiti a breve è sceso per industria, società finanziarie e amministrazioni pubbliche. Ma le piccole imprese pagano sempre di più (dal 9,73 al 10,03%).

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4 ottobre 2003
Intervento di Sergio Billè

Per le banche è ora di un esame di coscienza

 

“Il fatto che il sistema bancario sia oggi l’unico settore che, in Italia, goda ottima salute non può che rallegrarci”, ma il problema è che “nonostante fosse aumentato il volume dei suoi depositi e il suo tasso di produttività, ha aumentato, in misura abnorme, anche il costo dei propri servizi con una percentuale assai più alta del tasso di inflazione”. Nel suo intervento alla conferenza di Napoli sul tema “Banca ed impresa a sostegno dello sviluppo del Paese”, il presidente di Confcommercio, Sergio Billè, ha “snocciolato” cifre a dir poco veriginose: il costo dei servizi bancari, nell’arco dell’ultimo anno, è aumentato del 7,4%, quello dei servizi finanziari dell’11% e quello dei servizi banco posta del 26,7% fra l’agosto 2002 e l’agosto 2003. “In questo Paese – ha commentato Billè - c’è chi continua a viaggiare in scompartimenti di prima classe e chi, invece, a causa della crisi, deve accontentarsi di viaggiare in terza se non addirittura su carri merci”. E’ una situazione intollerabile e le banche “devono spiegarci a cosa è servito il processo di concentrazione e di migliore produttività dei suoi impianti se poi i costi per l’utenza, anziché diminuire, sono aumentati in modo così abnorme”.

Quanto al rapporto tra banca e piccola impresa, il presidente di Confcommercio ha evidenziato che nell’arco dell’ultimo anno il tasso attivo per i prestiti a breve è sceso, per le amministrazioni pubbliche, dal 5,14 al 3,87%, per le società finanziarie dal 4,28 al 3,96% e per l’industria dal 7,76 al 7,67”. Per le circa quattro milioni di imprese che hanno meno di venti dipendenti, invece, è aumentato dal 9,73 al 10,03% nel Mezzogiorno e al 9,33% nel Centro-Nord. Il fronte delle imprese che oggi produce più del 35% del nostro Prodotto interno lordo, insomma, paga alle banche interessi più che doppi rispetto a quelli richiesti, ad esempio, alle amministrazioni pubbliche: è, ha detto Billè, “una sperequazione inaccettabile”, tanto che “le banche e il sistema finanziario dovrebbero cominciare a farsi un serio esame di coscienza. Qualche sforzo per ridurre questi consistenti margini di profitto andrebbe certamente fatto”.

E non può valere l’obiezione secondo la quale ogni volta che la banca accende un rapporto con una piccola impresa entra in zona rischio, perché gli affidamenti e le garanzie che può offrire questo tipo di impresa non sono gli stessi che, ad esempio, può fornire la Tesoreria di Stato. Allora, “si dica con chiarezza che non si crede nella possibilità che questo Paese si possa sviluppare sui binari di un vero e libero mercato” e “non si parli più né di Europa, di sviluppo dell’occupazione e di modernizzazione del sistema”. Così, soprattutto se non si introdurranno sostanziali modifiche agli accordi di Basilea 2, “andrebbe a fondo - ha detto ancora Billè - buona parte del nostro sistema di imprese. Per la concessione di prestiti vanno adottati modelli di valutazione assai più ampi che ai tradizionali indici di bilancio affianchino altri parametri quali, ad esempio, l’anzianità dell’impresa, la considerazione del magazzino in modo coerente con la specifica attività dell’impresa, l’excursus professionale dell’imprenditore, la qualità e la dimensione del portafoglio clienti, gli indici di sviluppo dell’area economica nella quale questo imprenditore intende operare”.

Insomma, se si continuerà a ridurre il rapporto tra banca e piccolo imprenditore ad una meccanica operazione di sportello, per molte piccole imprese non resterà che una sola alternativa: “rivolgersi al mercato usuraio o chiudere bottega. Dopo di che milioni di lavoratori si troveranno a spasso. Bel risultato davvero”.

Alla conferenza ha preso parte anche il presidente dell’Immsi, Roberto Colaninno, per il quale “non c’è futuro senza il binomio banca-impresa, che svolgano una strategia comune per raggiungere un obiettivo di sviluppo per il Paese”. “Le imprese non possono pensare al loro futuro senza le banche - ha aggiunto - ma anche le banche non possono pensare di svolgere il loro compito per il Paese, senza interessarsi direttamente alle imprese”.

 

 

 

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