IL DOCUMENTO CONGIUNTO SULLA FINANZIARIA

IL DOCUMENTO CONGIUNTO SULLA FINANZIARIA

p.01 d:25-9-2003 t:bILLE: fINANZIARIA INGIUDICABILE

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25 settembre 2003
CASARTIGIANI- CNA-CONFAPI-CONFCOMMERCIO-CONFCOOPERATIVE

CASARTIGIANI-CNA-CONFAPI-CONFCOMMERCIO-CONFCOOPERATIVE-CONFESERCENTI-CONFSERVIZI-LEGACOOPERATIVE

 

 

DOCUMENTO DI VALUTAZIONE CONGIUNTA

DELLE LINEE GUIDA DELLA LEGGE FINANZIARIA PER IL 2004

 

 

 

Le nostre Organizzazioni – che rappresentano tre milioni e cinquecentomila imprese dell’artigianato, del commercio, della cooperazione, dell’industria, dei servizi privati e dei servizi pubblici locali, dei trasporti e del turismo con dieci milioni di occupati – hanno inviato all’attenzione del Presidente del Consiglio, dopo la presentazione del Dpef, un documento su “Competitività e Democrazia economica”, concepito come una proposta sul metodo e sull’agenda dell’ “Accordo per Riforme Competitività Sviluppo ed Equilibrio Finanziario”, proposto, nello stesso Dpef, dal Governo alle parti sociali.

 

Competitività, dunque, ma anche democrazia economica: cioè riconoscimento dei valori del pluralismo imprenditoriale e della concorrenza a parità di regole, ossia l’affermazione di un mercato in cui si concorre pienamente, ma secondo condizioni trasparenti e non distorsive, che non penalizzano, in altri termini, le imprese per la loro dimensione o per la veste giuridica adottata.

 

Rispetto alle sfide della competitività, la nostra risposta è che si riparte mettendo al centro di un progetto di politica economica le grandi risorse del Paese: l’impresa diffusa e le piccole e medie imprese industriali, il territorio.

 

I tempi e i modi di elaborazione delle scelte fondamentali della Legge Finanziaria per il 2004, le cui linee portanti ci sono state illustrate a pochi giorni dal suo varo da parte del Consiglio dei Ministri, hanno purtroppo disatteso non soltanto la nostra richiesta di metodo, ma lo stesso obiettivo politico dell’Accordo propostoci dal Governo. Illustrazione effettuata, peraltro, per linee assai generali e senza puntuali quantificazioni d’impegno finanziario, che risultano determinanti per la nostra valutazione conclusiva.

 

 

Apprezziamo il realismo con cui – nel passaggio dal Dpef alla Legge Finanziaria – è stata operata la revisione del quadro previsionale e programmatico di riferimento in relazione, anzitutto, alla più debole crescita attesa e ad un conseguente, e più espansivo, rapporto tra deficit e Pil. E comprendiamo anche le esigenze di confronto politico interno alla maggioranza sui contenuti e la cifra complessiva della manovra finanziaria.

 

Ma, al contempo, non possiamo non rilevare come, ancora una volta, sul versante delle relazioni tra Governo e parti sociali non siano state attivate vere occasioni di confronto e di lavoro comune, quelle che servono per dare al Paese condizioni di certezza e di fiducia, riproponendo invece le modalità di rito dell’incontro di Palazzo Chigi, che pure – proprio all’atto della presentazione del Dpef – erano state concordemente ritenute inefficaci.

 

 

Quanto al merito, la nostra prima osservazione è che – proprio il peggioramento delle attese di crescita e la conferma della scarsità delle risorse impegnabili sul terreno delle politiche per lo sviluppo – rafforzano l’esigenza di attivare tanto le manovre di tipo keynesiano quanto gli interventi anti-congiunturali urgenti.

 

 

Le prime, infatti, hanno effetti, agendo sulle infrastrutture, la formazione, la ricerca e lo sviluppo, sulla competitività nel medio-lungo periodo ed a condizione che le scelte di finanziamento per la loro realizzazione siano realisticamente adeguate all’ampiezza ed all’intensità degli obiettivi che si propongono di conseguire; mentre i secondi hanno obiettivi di breve termine coerenti, del resto, con quella centralità della domanda interna e dei consumi delle famiglie riconosciuta dallo stesso Dpef.

 

L’equilibrio di questo mix di strumenti di politica economica, allo scopo di mobilitare i 5 miliardi di euro che la Legge Finanziaria renderà disponibili per le politiche di sviluppo integrando prioritariamente le dotazioni finanziarie di interventi già programmati nel 2003, è, insomma, il presupposto fondamentale per affrontare con realismo l’obiettivo di crescita del Pil, nel 2004, dell’1,9, a fronte di una crescita che, nell’anno in corso, non andrà oltre lo 0,3-0,5%.

 

 

Il Fisco

 

La manovra per il 2004 conferma, secondo quanto ci è stato illustrato, le scelte di composizione quantitativa e qualitativa esposte nel Dpef: un terzo di misure a carattere permanente, due terzi di misure one-off.

 

Quel che ci interessa, e naturalmente ci preoccupa, non è il dibattito su vizi e virtù comparative di misure strutturali ed “una tantum”. Quel che ci preoccupa è che, nel complesso, secondo lo stesso Dpef, la pressione fiscale dovrebbe restare al di sopra del 40% anche a fine legislatura e che, nell’ultimo anno, secondo i dati della Banca d’Italia, si sia attestata intorno al 41, 6%.

 

Condoni e concordati sui ricavi incrementali rispetto ai parametri di congruità e coerenza emergenti dagli studi di settore concorrono alla determinazione di questi livelli di pressione fiscale ed introducono condizioni di eccezione straordinaria alle regole contributive, che rischiano, se ripetutamente confermate, di ingenerare attese patologiche.

 

Per queste ragioni, confermiamo la necessità e l’urgenza che, anche a fronte del debutto dell’aliquota IRES al 33%, nel contesto della prossima Legge Finanziaria si prosegua, a partire dalle PMI, nel processo di depurazione della base imponibile dell’IRAP dalla componente costituita dal costo del lavoro. In altri termini, occorre, a nostro avviso, un intervento sull’Irap che interessi la platea dell’impresa diffusa e delle piccole e medie imprese industriali. Rispetto a questa esigenza, che ci sembra ancora oggi compatibile con i margini della manovra, un intervento limitato alla riduzione dell’incidenza della pressione fiscale soltanto sul costo del lavoro connesso a funzioni di ricerca, sviluppo ed innovazione sortirebbe per un verso effetti scarsamente apprezzabili in termini di sostegno alla competitività delle imprese, mentre – per altro aspetto – non darebbe risposta alla questione centrale: ridurre gli effetti distorsivi dell’IRAP sulle imprese work-intensive.

 

Tanto per le ristrutturazioni edilizie quanto per un settore fondamentale per la nostra economia quale è quello del turismo, resta poi determinante l’accelerazione del confronto tra i Governi dell’Unione europea sul tema della riduzione delle aliquote IVA .

 

 

Proprio in ragione del nesso intercorrente nella struttura di riforma del sistema fiscale varata dal Governo tra nuovi scaglioni di aliquote sui redditi personali, progressività e deducibilità, occorre poi che le politiche di sostegno alla domanda facciano leva sugli strumenti delle detrazioni e delle deducibilità, confermando e potenziando il modello d’intervento già in opera per le ristrutturazioni edilizie, anche in direzione di una più ampia gamma di beni di consumo.

 

E’ questo, a nostro avviso, il modo per costruire una politica per le famiglie meno episodica e più orientata a consentire un accesso al mercato ed ai suoi servizi, che possa dare risposta alle domande dei nuclei familiari, degli anziani ed alla crisi della natalità.

 

Bisogna inoltre garantire, anche e soprattutto sul terreno della fiscalità, condizioni di corretto confronto con il mercato tra tutti i soggetti. Le misure di vantaggio fiscale per le Onlus e il no-profit andranno pertanto attentamente calibrate e verificate alla luce di questa esigenza, rafforzando il nesso tra vera finalità sociale, attentamente delimitata rispetto al confine delle attività d’impresa e commerciali, e regime fiscale privilegiato.

 

Quanto al Patto di Stabilità Interno ed alla realizzazione del federalismo fiscale, vanno garantiti i necessari trasferimenti, anche per evitare che cittadini ed imprese siano esposti ad una crescita liberamente compensativa e non governata del peso dei tributi locali, a partire dal passaggio da tassa a tariffa per la gestione dei rifiuti.

 

Innovazione ed incentivi

 

Dalla presentazione dei contenuti qualificanti della prossima Legge Finanziaria e degli eventuali provvedimenti collegati, emerge poi la scelta di connotare gli strumenti di sostegno agli investimenti delle imprese in direzione del riconoscimento della centralità dei processi di innovazione, ricerca e sviluppo.

 

Questa scelta coglie, indubbiamente, uno degli snodi centrali della sfida competitiva con cui le imprese italiane si stanno confrontando. Al riguardo riteniamo però necessarie due segnalazioni fondamentali.

 

Occorre, anzitutto, che nuovi strumenti di sostegno, o la revisione di quelli esistenti, tengano in debito conto l’esigenza della tempestività dei tempi operativi e della certezza, stabilità ed adeguatezza delle dotazioni finanziarie di riferimento. Ed ancora, se si riconosce che innovazione, ricerca e sviluppo sono questioni centrali per l’insieme del sistema produttivo del Paese, non se ne può’ allora non ricavare la necessità che vecchi e nuovi strumenti operino compiutamente secondo una logica di selezione di merito dei progetti, superando riserve a monte di tipo settoriale e/o dimensionale, a partire dall’accesso agli esistenti FAR e FIT ed al nuovo prospettato fondo rotativo.

 

Quanto alla cosiddetta “Tecno-Tremonti”, sarà essenziale – per la definizione della sua capacità d’impatto – una più precisa indicazione delle iniziative ammissibili ai fini dell’accesso alla detassazione degli utili reinvestiti, per ora genericamente ricomprese sotto la cifra dell’innovazione e della ricerca, del design e dell’export.

 

Le iniziative per la realizzazione di poli d’eccellenza (Istituto Italiano di Tecnologia e Collegio d’Italia) sono certamente utili. Ma, intanto, occorrerebbe concentrare gli sforzi sulle eccellenze già presenti nel sistema della ricerca italiana, favorendo la collaborazione tra le imprese e l’Università, e soprattutto consentendone un più stretto collegamento con i processi di innovazione in una logica di valorizzazione e costruzione di distretti produttivi integrati.

 

 

Se l’impegno per l’innovazione è questione emergente ed urgente per le imprese italiane, non può però essere dimenticato che altrettanto urgente, ed emergente rispetto all’impatto dei parametri di Basilea 2 in materia di rating creditizio, è la questione storica del rapporto tra impresa diffusa, piccole e medie imprese industriali e sistema bancario, tanto sul versante delle condizioni di accesso al credito quanto su quello dei costi dei finanziamenti.

 

Per questo pensiamo che riforma e rifinanziamento del Fondo centrale di garanzia debbano essere affrontati dalla Legge Finanziaria, in parallelo all’ormai avanzato processo di riscrittura delle regole ordinamentali e di esercizio della garanzia mutualistica nel nostro Paese. Al sistema dei consorzi e delle cooperative di garanzia fidi occorrono, insomma, non soltanto nuove regole, ma anche risorse finanziarie aggiuntive, che ne accompagnino la crescita dimensionale e d’efficienza irrobustendo la struttura della garanzia di secondo livello.

 

Resta poi essenziale per l’impresa diffusa e per le piccole e medie imprese industriali la questione dell’adeguato finanziamento del Fondo Unico per gli incentivi, istituito presso il MAP, che alimenta un’ampia gamma di interventi regionalizzati - tanto più importanti in relazione al trasferimento federalista di compiti determinanti per le politiche di sviluppo alle Regioni – nonché degli strumenti specializzati per i diversi settori, quali l’Artigiancassa e Foncooper.

 

Infrastrutture e servizi

 

Esiste un nesso forte tra deficit di produttività e deficit competitivo di dotazione di stock infrastrutturale. Ma proprio i vincoli derivanti dal quadro della finanza pubblica richiedono una più attenta selezione delle priorità, che privilegi, ad esempio, le infrastrutture essenziali per la catena logistica in relazione agli assetti produttivi di livello territoriale, operando altresì con interventi strutturali atti a garantire qualità, universalità ed economicità dei servizi di interesse economico generale, anche attraverso il contenimento degli oneri fiscali sulle tariffe e, in particolare, su quelle dell’energia.  All’interno di questo approccio, bisogna poi migliorare la capacity-building di amministrazioni ed enti di spesa, anche come condizione preliminare ad un più marcato ricorso al project-financing.

 

Restano queste, a nostro avviso, le priorità d’azione sul versante delle infrastrutture.Restano questi gli interrogativi che vanno sciolti per rendere più concreta la cornice di riferimento dell’ ”Azione Europea per la Crescita” e la connessa strategia di finanziamento fondata sulla capacità di indebitamento della Banca Europea per gli Investimenti e, per quel che riguarda l’Italia, sulla trasformazione della Cassa Depositi e Prestiti in Cassa per lo Sviluppo.

 

 

La spesa pubblica

 

Ridurre e riqualificare la spesa pubblica corrente resta una priorità per il Paese, posto che lo stock complessivo di debito pubblico ci conferma al primo posto della poca lusinghiera classifica tra i paesi membri dell’Unione europea, con un valore prossimo al 107% sul Pil.

 

 

 

Questa esigenza, questo vincolo hanno tuttavia poco a che fare tanto con il mancato rispetto da parte delle pubbliche amministrazioni dei tempi di pagamento alle imprese, quanto con gli effetti di fatto del sistema delle convenzioni Consip, i cui risultati – anche da quanto emerge dalla più recente Relazione della Corte dei Conti – appaiono più stimati che dimostrati a fronte dei costi certi, economici e sociali, determinati attraverso l’esclusione del sistema delle PMI dal mercato delle forniture alle pubbliche amministrazioni.

 

A nostro avviso, occorre pertanto procedere lungo il percorso riformatore del sistema Consip, già avviato con le modifiche intervenute in sede di conversione del decreto legge 143/03, sia in riferimento al parametro di soglia sia in relazione ad una più certa identificazione dei soggetti (autonomie funzionali e scolastiche, enti locali) non sottoposti agli obblighi di adesione alle convenzioni.

 

 

La spesa sociale e la riforma delle pensioni

 

La riforma delle pensioni della quale abbiamo necessità è quella che miri non alla riduzione del livello complessivo di spesa sociale del Paese, in linea con la media dei Paesi membri dell’Unione europea, ma alla sua ristrutturazione e riqualificazione, soprattutto in direzione del finanziamento di quei nuovi ammortizzatori sociali, liberati da steccati dimensionali e settoriali, che costituiscono il necessario completamento di un’importante riforma del mercato del lavoro improntata all’apertura di maggiori spazi di flessibilità.

 

Sulla scelta inevitabile dell’allungamento dell’età pensionabile, e più in generale della riforma strutturale del sistema pensionistico, si misurerà, oggi pomeriggio, il tavolo di confronto tra Governo e parti sociali. In questa sede andrà approfondita la tenuta di un meccanismo affidato soltanto ai cosiddetti incentivi, interamente devoluti al lavoro dipendente. Andranno poi chiarite le convenienze per le imprese, a partire da condizioni di consensualità nella novazione del rapporto di lavoro e sul versante della decontribuzione, nonché le misure compensative per la mobilitazione dei flussi di Tfr in direzione dei fondi pensione, con un ruolo preminente per i fondi contrattuali. Così pure dovrà essere definita intensità e qualità dei vantaggi fiscali per il decollo della previdenza integrativa, anche per il mondo del lavoro autonomo.

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