IL TESTO INTEGRALE DELL'INTERVENTO DEL PRESIDENTE BILLE'
IL TESTO INTEGRALE DELL'INTERVENTO DEL PRESIDENTE BILLE'
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COMMISSIONE A. A. COSTITUZIONALI SENATO
Non vi è dubbio che il disegno di legge ora varato dal Governo configura un prototipo di riforma dell’assetto costituzionale che, almeno nelle sue grandi linee, va nella giusta direzione. Per almeno tre motivi.
Primo, perché esso, conferendo alle Regioni non solo tutti i poteri necessari per l’espletamento delle loro funzioni, ma anche - e mi riferisco soprattutto all’ipotesi di costituzione di un Senato federale - strutture di rappresentanza, dà finalmente la giusta latitudine e una più corposa e convincente sostanza al progetto di un’Italia federalista.
Secondo, perché sicuramente chiarisce e rafforza il ruolo del Presidente della Repubblica, che, quale organo di garanzia costituzionale e rappresentante dell’unità federale della nazione, assume anche l’importante funzione di contrappeso istituzionale fra il potere che sarà esercitato dalle autonomie locali e territoriali e quello del Governo nazionale che, con questa riforma, risulterà decisamente rafforzato.
Il terzo motivo è, difatti, il più importante. Perché aver non solo inserito, nella scheda elettorale, i nomi dei candidati premier designati dalle rispettive coalizioni, ma avere poi anche conferito al premier che risulterà vincente il potere di chiedere lo scioglimento delle Camere significa aver fatto fare al nostro sistema parlamentare quel salto di qualità, per quanto riguarda grado di efficienza e di stabilità dell’esecutivo, su cui, purtroppo senza costrutto, si discute da anni.
Prima di passare ad una più approfondita analisi delle varie parti di questa riforma, mi sia consentita una riflessione.
Stiamo discutendo di un nuovo modello - quello che, in gergo automobilistico, si chiama prototipo di un’auto - che, proprio perché ideato tutto o in parte ex novo, può, per le sue caratteristiche tecniche e di impianto, soddisfare le nuove e diverse esigenze espresse dal mercato.
Sono anni, anzi addirittura alcuni decenni, che Governi e coalizioni, consapevoli della necessità di riformare un sistema istituzionale che, nel suo attuale assetto, non solo non regge proprio più, ma ci rende anche sempre meno competitivi sui mercati internazionali, si esercitano su prototipi che però restano a mezz’aria, sempre e solo modellini di carta che poi, finita la legislatura, finiscono al macero.
E questi ritardi, questa interminabile ma poi purtroppo sempre inconcludente discussione sui massimi sistemi, hanno certamente contribuito a far sì che il nostro sistema scivolasse nel degrado con una perdita di competitività che, alla luce della grave crisi esplosa nell’economia mondiale, si è, in questi ultimi anni, ulteriormente aggravata tanto da assumere ormai dimensioni e latitudini davvero preoccupanti.
E’ insomma ora di voltare pagina, perché una politica sempre in affanno sui problemi della contingenza, ma incapace poi di affrontare e risolvere i problemi che oggi impediscono la modernizzazione del nostro sistema non ha davvero più scusanti plausibili.
Vengo ora al merito limitandomi, sul progetto di riforma predisposto dal Governo, a quelli che ritengo siano i tratti essenziali.
La creazione di un Senato che sia direttamente rappresentativo della struttura federalista che questo paese si vuol dare è una giusta scelta, perché l’attuale sistema bicamerale, con l’esatta, direi millimetrica duplicazione, fra Camera e Senato, di strutture di rappresentanza, di funzioni e di poteri, non ha proprio più ragione di essere.
Non crediamo però che i valori di rappresentatività territoriale attribuiti al Senato federale possano essere tutti risolti, come vorrebbe la proposta fatta dal Governo, esclusivamente all’interno dell’asse verticale della sussidiarietà interistituzionale, rimanendo, di fatto, del tutto esclusa, da questa rappresentanza, l’asse orizzontale della sussidiarietà cioè quella dimensione e quella struttura della società civile, dei suoi corpi intermedi e delle autonomie funzionali che pure avrebbe il diritto di svolgere un suo rilevante ruolo proprio rispetto a quei principi di partecipazione e di controllo che costituiscono il cuore ed anche l’anima dell’opzione federalista.
Il combinato disposto tra metodo proporzionale e requisiti istituzionali di eleggibilità al Senato federale rischia, insomma, di riproporre meccanismi di selezione e formazione della rappresentanza troppo strettamente legati alle forme classiche dei partiti politici e assai poco partecipativi rispetto ai processi di governance territoriale che oggi sono necessari per una reale modernizzazione del sistema.
Inoltre, la scelta del modello elettivo di primo livello per il Senato federale e il bicameralismo asimmetrico per principio di competenza finiscono col realizzare una partecipazione dei Governi regionali e degli altri enti locali alla legislazione e alla amministrazione della Repubblica federale assai mediata e che appare, per come è stata strutturata, di incerta incisività.
Consentitemi anche qualche riflessione sulle modifiche al Titolo V della parte seconda della Costituzione.
Tanto il sistema delle competenze ripartite, già proposto dal ministro La Loggia, quanto il sistema delle competenze concorrenti abbinate alla clausola generale di residualità in favore delle Regioni mi sembra che non escludano affatto il rischio di un contenzioso istituzionale per conflitto di competenza.
Certo, con questo disegno di legge costituzionale il profilo del contenzioso si sposta dall’asse del giudizio di legittimità affidato alla Corte Costituzionale all’asse, di merito e perciò più politico, del pronunciamento del Senato federale.
Ma - e questo rebus non mi sembra risolto - resta ferma, per le imprese, l’esigenza di poter contare, per quanto riguarda gli assetti regolamentari per il mercato e per l’attività di impresa, su norme certe, sicure e di reale affidabilità.
Certezza, in altri termini, che il riconoscimento dei valori della competitività e della concorrenza si possa tradurre sempre in una concreta unità federale della Repubblica.
Dialetticamente correlato al principio di sussidiarietà è infatti, in una corretta lezione federalista, il principio di adeguatezza: cioè la capacità organizzativa e funzionale di attivazione dei poteri attribuiti, o, se si preferisce, dal punto di vista giuridico, la necessità della compiutezza dell’ordinamento normativo ed amministrativo e della salvaguardia dei principi di semplificazione.
Quanto alle nuove materie devolute, elementi di preoccupazione derivano non tanto dall’allargamento di merito delle competenze, quanto dal suo coordinamento con il terzo comma dell’art.117 e con l’art.119, che riservano allo Stato la legislazione di principio in materia di armonizzazione dei bilanci pubblici e di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, nonché l’istituzione del fondo perequativo.
Insomma, mentre si completa in termini di riforma dell’ordinamento dello Stato e della forma di governo la transizione costituzionale del Paese al federalismo, resta ancora tutto da scrivere – tanto in termini di costituzione formale quanto in termini di costituzione materiale – il capitolo del federalismo fiscale.
Siamo ancora fermi alla missione impossibile dell’Alta Commissione di studio per il federalismo fiscale, cui manca la premessa, logicamente sancita nella Legge Finanziaria per il 2003, della legge quadro per il federalismo fiscale. La cui assenza, peraltro, costituisce la premessa di legittimità del blocco delle addizionali Irpef e delle maggiorazioni Irap, “fino a quando non si raggiunga un accordo sui meccanismi strutturali del federalismo fiscale in sede di Conferenza unificata Stato – Regioni – Enti locali”.
A fronte delle esigenze di risanamento della finanza pubblica e di riduzione del debito pubblico che derivano dalla costituzione materiale del Trattato di Maastricht e degli obiettivi politici di riduzione della pressione fiscale complessiva a carico di cittadini e imprese, permangono irrisolti gli interrogativi circa costi e coperture della devoluzione federalista dei poteri e delle funzioni fin qui esercitate dallo Stato. Ai sessantamila miliardi di vecchie lire stimati dall’ISAE per l’attuazione del già riformato e vigente Titolo V in relazione alle Regioni a statuto ordinario, occorrerebbe aggiungere – giuste le nuove materie devolute e secondo alcune prime stime – ulteriori sessantacinquemila miliardi di lire per l’istruzione e circa quindicimila miliardi per la sicurezza.
La fiscalità della Repubblica federale dovrebbe rafforzare tanto la responsabilità amministrativa, cioè la coincidenza tra soggetto impositore e soggetto erogatore del servizio, quanto il principio del beneficio, cioè la corrispondenza tra beneficiari delle prestazioni e soggetti incisi dal pertinente tributo.
Ma il federalismo fiscale non può peraltro non tenere conto della variabilità quantitativa delle basi territoriali imponibili. Così, ad esempio, nel caso della Lombardia, l’addizionale Irpef sostitutiva dei trasferimenti potrebbe attestarsi in misura inferiore all’1%. Essa salirebbe tra il 3% ed il 5% per un significativo gruppo di Regioni del Centro-Nord e sarebbe comunque superiore al 10% per tutte le Regioni del Mezzogiorno, con un picco del 24% in Calabria.
Di qui il rilievo del tema della perequazione per il mantenimento, in termini di unità federale, di un accettabile grado di coesione sociale, secondo il dettato della lettera “m” dell’art.117, che riserva alla potestà legislativa esclusiva dello Stato l’individuazione dei livelli essenziali di prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale.
Anche a fronte delle nuove competenze devolute alle Regioni - assistenza, organizzazione sanitaria e scolastica, polizia locale – non si potrà dunque non pensare ad un intervento equalizzatore rafforzato.
Di particolare rilievo risulteranno pertanto, tra gli emendamenti del Governo al presente disegno di legge costituzionale preannunziati dal Ministro Bossi, quelli concernenti il coinvolgimento più incisivo del Senato federale nell’approvazione delle leggi di bilancio.
In conclusione, ci sembra che, proprio sul terreno del federalismo fiscale e del governo federalista di un welfare riformato che tenga insieme sostenibilità finanziaria ed inclusività sociale, possa e debba svilupparsi quel costruttivo approccio bipartisan che ha caratterizzato l’avvio dell’esame del disegno di legge di riforma costituzionale, recuperando in prospettiva la lezione dell’art. 72 della Costituzione tedesca, che recita: “Il Bund legifera quando lo richiedano la tutela dell’unità giuridica o dell’unità economica, ed in particolar modo la tutela dell’uniformità delle condizioni di vita”.
Quel che, in buona sostanza, imprese e cittadini attendono dal farsi del federalismo è un accrescimento di partecipazione e di efficienza : partecipazione ai processi di formazione dei budget pubblici ed alla conseguente allocazione delle risorse; efficienza delle e nel rapporto con le pubbliche amministrazioni.
Insomma, per riprendere una notazione del Censis di qualche anno fa ma sempre valida, il federalismo come occasione per essere un po’ più un sistema-Paese e un po’ meno un Paese-contenitore, laddove quel che connota il sistema-Paese rispetto al Paese-contenitore è la capacità di instaurare un sistema di relazioni cooperative, ed anche competitive ma non conflittuali, tra i diversi livelli della funzione pubblica e l’iniziativa dei privati, tra sussidiarietà verticale e sussidiarietà orizzontale, tra una sfera pubblica che faccia di meno ma meglio e l’iniziativa organizzata dei privati che assuma maggiori responsabilità collettive.
A questo scopo, riprendendo quanto definito nella bozza di riforma costituzionale esaminata dal Consiglio dei Ministri nel mese di aprile, ora sostituita dall’A.S. 2544, occorrerebbe comunque l’inserimento, tra le materie di competenza dello Stato, dell’ordinamento generale degli enti di autonomia funzionale.
Inoltre, l’ultimo comma dell’art.118 potrebbe essere utilmente integrato, prevedendo che lo Stato, le Regioni, le Città metropolitane, le Province e i Comuni favoriscano – oltre che l’autonoma iniziativa dei cittadini singoli e associati – anche le autonomie funzionali sulla base del principio di sussidiarietà.