Sergio Billè alla celebrazione del 60° di Confcommercio Pesaro

Sergio Billè alla celebrazione del 60° di Confcommercio Pesaro

Pesaro, 27 ottobre 2005

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27 ottobre 2005
Intervento di Sergio Billè

Il dato che oggi mi pare da non sottovalutare è che sembra essersi finalmente arrestata per la nostra economia la fase discendente: la produzione sta dando, infatti, qualche segnale di risveglio, sta ripartendo un po' l'export, accennano timidamente a riprendersi - ma si tratta di un sobbalzo per ora fatto solo di decimali - i consumi, aumentano di un 2,6% anche le entrate tributarie.

Insomma siamo di fronte a segnali che ci indicano che il sistema non è più, come era, invece, fino a qualche mese fa, in caduta libera.

Mi pare già qualcosa, ma è un qualcosa che, da solo, certo non basta per poter dire che la nostra economia stia già uscendo dal lungo tunnel della sua crisi.

Diciamo pure che ci vuol altro, molto di altro per poter rimettere in sesto il nostro sistema economico e riportarlo a livelli sufficienti di competitività.

Ed è proprio a causa di questo "altro" che ancora non c'è che famiglie ed imprese stanno oggi "tra color che sono sospesi".

Un "qualcosa d'altro" che oggi si identifica con almeno tre prioritarie esigenze.

La prima è quella di interventi di politica economica che servano ad assemblare, a consolidare e poi a strutturare questi segnali di ripresa. Pensare, infatti, che essi, restando ciascuno all'interno del proprio giardinetto, possano produrre, da soli, un organico e programmato sviluppo del sistema mi pare, allo stato delle cose, solo una goffa utopia. Il fatto che i singoli settori imprenditoriali siano riusciti fino ad oggi, chi più chi meno e nonostante tutto, a mantenere - a differenza di quel che è accaduto, ad esempio, in Germania - soddisfacenti livelli occupazionali non dà, per il futuro, alcuna valida certezza. Il manifatturiero ha da questo punto di vista, salvo alcune sacche di vera e propria caduta, sostanzialmente tenuto, ma che ne sarà di questo importante settore da qui a qualche anno se non si metterà mano ad un piano di ristrutturazioni che riqualifichi la qualità dei suoi impianti e quindi i suoi livelli di competitività? E' positivo che, in questo settore, si sia, in qualche modo, arrestata la caduta, ma non è girando in tondo e rinviando ancora scelte e decisioni che si può pensare di affrontare il futuro con armi vincenti. E il turismo. Penso che abbia fatto bene il Capo dello Stato a richiamare le Istituzioni alle sue responsabilità nei confronti di un settore che oggi, soprattutto a causa della mancanza di strategie e di efficaci e coordinati strumenti di programmazione, sta perdendo, sui mercati, colpi su colpi. E' disperante - ha ragione Ciampi - questa vaghezza di comportamento delle Istituzioni nei confronti di un settore che, invece, per lo sviluppo della nostra economia potrebbe essere un fattore trainante. E ancora il terziario di mercato: commercio, distribuzione e altro. Dopo quasi due anni di gelo, i consumi, anche in conseguenza di una politica di stabilità dei prezzi, hanno ricominciato a dare qualche segnale di risveglio. E' già qualcosa. Ma resterà un qualcosa appeso nel vuoto se le Istituzioni, a qualsiasi livello, non si decideranno finalmente ad affrontare quei problemi che oggi soffocano la distribuzione e il mondo dei servizi. Problemi che si chiamano logistica largamente insufficiente, infrastrutture ancora, in alcune aree, da terzo mondo, impianti dei servizi di base e logiche e comportamenti tariffari che si traducono, per le imprese della distribuzione, in costi che ormai sono diventati insopportabili. E devo dire che su questo fronte, da parte delle Istituzioni, continuo a sentire discorsi incerti e assai vaghi. Si vorrebbe liberalizzare ma si continua a non dire né come nè per quali finalità. Si vorrebbe "modernizzare" ma non si dice né come né per quale obiettivo di sviluppo del mercato. Il terziario, con le sue sole forze - anche questo va detto - ha superato l'ondata di piena prodotta dalla crisi dell'economia internazionale, dall'euro e da tutto il resto. E' riuscita a non affogare - e questo è positivo - ma non può restare eternamente appeso al ramo dell'incertezza, del pressappochismo programmatico, degli interventi d'emergenza da protezione civile.

Non nego che, sul territorio, le Istituzioni non stiano, in qualche modo, operando per venire incontro alle esigenze di questo settore portante dell'economia. Passi avanti, in questo senso, se ne sono fatti. Mancano, invece, strumenti di programmazione che finalmente favoriscano lo sviluppo di questo settore nel suo insieme. C'è un po' più di flessibilità nella gestione dei rapporti di lavoro ed è già qualcosa. Ma sul resto cosa si è fatto e cosa si intende fare? L'attuale governo non è riuscito, a causa anche delle tante emergenze che ha dovuto affrontare, a programmare nulla che fosse veramente efficace per lo sviluppo di questo settore. Lo abbiamo, in più occasioni, criticato per questo. Ma ci preoccupa anche l'insignificanza, la vaghezza delle proposte che, almeno fino ad ora, sono state fatte, su questi temi, dalle forze di opposizione. Il messaggio è che si vuole cambiare. In una campagna elettorale sarebbe sorprendente che si dicesse una cosa diversa. Ma cambiare come e, ripeto ancora una volta, con quali obiettivi? Un più libero mercato è quel che noi chiediamo da tempo. Ma non si può costruire un progetto e renderlo poi credibile restando ancorati solo a definizioni e promesse che per ora appaiono general generiche.

Il secondo problema da risolvere per dare congruità e peso e solidità a questi segnali di ripresa è quello del debito pubblico. Confcommercio ha ribadito più volte in queste settimane che l'aspetto positivo - forse l'unico - di questa legge finanziaria proposta dal governo è che c'è l'intendimento di entrare a gamba tesa sul problema della spesa pubblica improduttiva. Quando abbiamo preso visione del testo di questa legge ci pareva quasi di sognare. Allora finalmente, ci siamo detti, si vuole operare alla radice. E questo perché siamo più che convinti che non ci sarà salvezza per il nostro sistema economico se prima di tutto non incidiamo profondamente e strutturalmente sulla spesa pubblica e sul debito che essa quotidianamente rovescia sulle spalle di famiglie ed imprese. Ma ora c'è il pericolo che questo intendimento resti almeno in parte per strada, si sbricioli sotto i colpi delle spinte,degli interessi e delle logiche che scorrono nell'alveo parlamentare. Non è gridare al lupo al lupo. E' purtroppo prendere contezza di una realtà che rischia di prendere consistenza e di sfaldare gli obiettivi di questa finanziaria. Io mi auguro che alla fine il buon senso prevalga e non solo perché è in gioco, su questi tagli, la nostra credibilità di fronte alle Istituzioni e ai mercati internazionali ma soprattutto perché, senza questo tangibile, chiaro segnale- tagli congrui e strutturali alla spesa pubblica- gli altri di cui ho parlato rischiano di essere illusori, fine a se stessi, poco produttivi di risultati. Ecco perché mi auguro che possa alla fine prevalere la risolutezza: "blindare" questo progetto di tagli e renderlo operativo è il segnale che oggi il paese attende. Certo, deve trattarsi di tagli consapevoli, ben calibrati, non orientati verso capitoli di spesa che sono necessari per servizi e tutela dello stato sociale. Ma da questo a dire che allora, dovendo salvaguardare queste esigenze, non ci sia null'altro da tagliare mi pare veramente una tesi improponibile.

Terza e ultima considerazione. Blair ieri ha detto a Strasburgo che una riforma del modello socio-economico europeo non basta da sola per cavalcare con successo la globalizzazione. Tesi che può anche essere condivisibile perché gli annessi e i connessi sono tanti. Però l'imperativo inderogabile resta il nuovo modello di sviluppo che poi diventa doppiamente inderogabile, doppiamente essenziale per il sistema economico italiano. Ecco il nocciolo della questione che oggi famiglie ed imprenditori vorrebbero finalmente vedere affrontato e risolto in questo paese. Dobbiamo assolutamente ridurre il nostro debito perché ormai, con la concorrenza dei liberi mercati, questa palla al piede rischia di trascinarci verso il fondo, ma l'altra faccia di una moneta che risulti, per il nostro sistema davvero spendibile, è quella della creazione di un nuovo modello economico che, innervandosi finalmente sulle tante potenzialità che questo paese esprime, possa produrre vero sviluppo, vera ricchezza, vere prospettive. O c'è questo nuovo modello di sviluppo o questo paese, anche se con meno debiti sulle spalle, rischia di non andare più da nessuna parte. Proprio da nessuna parte. O si assemblano in modo diverso e finalmente in modo più produttivo e più programmato le risorse e le energie di questo paese o la globalizzazione, come sistema, alla fine ci spazzerà via. E per la realizzazione di questo modello le Istituzioni della politica hanno responsabilità primarie e non delegabili. Si prendano le Istituzioni finalmente queste responsabilità e finalmente le nostre imprese sapranno dove guardare, come lavorare, come competere.

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